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«È la crisi idrica più grave dell’ultimo secolo». Lo afferma Marco Borga, professore di idrologia idraulica all’Università di Padova e di Water and geological risk engineering, nella sede distaccata di Rovigo. «Nel 1922 - spiega il docente in una lunga intervista ad AgenSir – si verificò un anno siccitoso paragonabile a quello che abbiamo avuto lo scorso anno. Il 1923 però fu un anno molto piovoso, mentre oggi ci troviamo ancora in una situazione di siccità. Siamo alla crisi più grave mai monitorata».
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«Quest'anno - spiega l'esperto - stato più secco e meno nevoso. Le risorse che abbiamo stoccato in termini di copertura nivale sono minori su tutto l’arco alpino, dal Piemonte al Veneto. Le falde sono depauperate. Per ciò che riguarda gli interventi, bisogna distinguere una strategia a breve termine e una su lungo periodo. Nell’immediato occorre fare delle previsioni sul comportamento dei corsi d’acqua nel prossimo mese e decidere a quali colture destinare la poca acqua disponibile, in una logica di riduzione del danno».
E nel lungo periodo? «Le scelte verranno fatte in base ai finanziamenti che saranno resi disponibili. Le strategie più robuste sono quelle che prevedono interventi integrati fra loro. Da solo il “piano laghetti” non è sufficiente se non è affiancato ai sistemi di ricarica delle falde e al coordinamento delle operazioni sui grandi invasi alpini. Quest’ultimo è un tema extra-regionale di importanza cruciale. Alle iniziative per gestire la risorsa idrica vanno accompagnate iniziative sul fronte della domanda di acqua: il primo settore colpito dalla crisi e quello che consuma più risorsa idrica è quello agricolo. Qui si tratta di incentivare un cambiamento di colture, di modalità di irrigazione e di utilizzo dell’acqua. La desalinizzazione, di cui si è parlato in questi giorni, ha un costo abnorme ed è indicata per i consumi civili, non agricoli. In ogni caso, è meglio intervenire sulle reti idriche che perdono il 20-30% della loro portata».
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