Avvenire di Calabria

Un caso emblematico accaduto tra i banchi di scuola diventa spunto per una riflessione sui limiti dell’influenza familiare e sulle sfide educative nell’era dei social

La preside del liceo romano del “saluto fascista”, Anna Maria De Luca: «La scuola deve responsabilizzare i ragazzi senza giustificarli»

La dirigente scolastica riflette sull'educazione, sul ruolo delle famiglie e sui nuovi agenti sociali, partendo dall'episodio accaduto nel suo istituto

di Davide Imeneo

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La dirigente scolastica Anna Maria De Luca, preside del liceo romano finito al centro dell’attenzione mediatica per la foto di due studenti che posavano facendo il “saluto fascista”, interviene sul caso e non solo, sottolineando l’importanza di responsabilizzare i giovani e il ruolo cruciale della scuola nel promuovere i valori democratici.

Responsabilizzare i ragazzi: parla la preside Anna Maria De Luca

L’orma di Maria Montessori è ancora impressa nella sua Scuola, ma bisogna essere sempre vigili per evitare che i virus dei nazionalismi non intacchino l’esemplarità della testimonianza della grande pedagogista italiana. Incontriamo la dirigente scolastica Anna Maria De Luca, calabrese di origine, romana d’adozione.



Nel mese di ottobre si è trovata ad affrontare un caso spinoso: alcuni studenti della sua Scuola hanno posato in foto mentre facevano un saluto fascista. «Era il periodo della campagna elettorale per le elezioni dei rappresentanti degli studenti», racconta la De Luca. «I due ragazzi, prosegue la preside, hanno dichiarato alla scuola di non avere alcuna appartenenza con le organizzazioni di estrema destra e di aver emulato un gesto visto allo stadio. Nel momento in cui hanno dovuto rispondere delle proprie azioni nessuno di loro ha dichiarato appartenenza politica, hanno detto di non essersi resi conto della valenza del gesto. Il giorno dopo, però, le due sedi della scuola, distanti chilometri, sono state tappezzate da manifesti che ritraevano Antonio Scurati e un’immagine del film “Arancia meccanica”, accompagnati dalla scritta “Antifa non ce la menare. La vostra morale ci fa ca**re”. I manifesti erano firmati dall’associazione neofascista “Blocco studentesco”».

Sono gli adulti, quindi, a veicolare i disvalori antidemocratici: quali sono gli anticorpi di cui la scuola può dotarsi per contrastare questa deriva?

I ragazzi hanno la testa per pensare. Non me la sento di dare sempre la colpa agli adulti. Tra l’altro, uno dei due aveva anche un nonno partigiano. Non è giusto deresponsabilizzare sempre i ragazzi. I figli hanno personalità autonome da quelle dei genitori. Nella società odierna l’azione della famiglia sui ragazzi è solo una minima parte di un tutto formato da altre realtà sulle quali la famiglia ha ormai ben poca influenza. I ragazzi stanno più sui social e nel gruppo dei pari che con i genitori. Credo sia retorica dare la responsabilità alle famiglie per qualunque cosa accada con i giovani. La responsabilità è individuale, giustificare i ragazzi dando ad altri le colpe non è per nulla educativo.


PER APPROFONDIRE: Educazione in crisi, il filosofo Giuseppe Savagnone: «Serve un nuovo patto tra famiglia, scuola e Chiesa»


Nelle società di un tempo il ruolo dei genitori era molto più forte di quello odierno, nel bene e nel male. Gli anticorpi della scuola? Innanzitutto, riportare la responsabilità a chi compie le azioni e smetterla di giustificare tutto trovando sempre cause negli adulti.

A distanza di mesi ha avuto modo di incontrare nuovamente quei ragazzi? Cosa vi siete detti?

Sono stati travolti loro stessi dal clamore mediatico suscitato con una foto. In Italia ci sono migliaia di agenzie di comunicazione che lavorano per spingere le notizie dei clienti. Questi ragazzi in un attimo sono riusciti laddove tanti professionisti della comunicazione non riescono. Il caso è emblematico dal punto di vista dello studio dei meccanismi di comunicazione e delle conseguenze gigantesche ed impreviste che possono generare in un attimo certe foto o frasi postate sui social.

In questi casi limite quanto conta collaborare con le famiglie?

La collaborazione con le famiglie è importante, ma, ripeto, oggi ci sono agenti sociali che hanno sui ragazzi molto più potere delle famiglie. È vero che la famiglia è il sistema sociale in cui avviene il processo di socializzazione primaria, come suggerisce la Teoria dell’apprendimento sociale (Bandura): il bambino apprende il funzionamento degli scambi sociali attraverso l’osservazione del modello proposto dai genitori e in seguito trasferisce le modalità apprese in contesti diversi, per relazionarsi con gli altri. Qua però parliamo di adolescenti e non dobbiamo dimenticare che il processo di socializzazione secondaria a livello extra-familiare inizia con l’ingresso nella scuola dell’infanzia.

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