Avvenire di Calabria

Partire da povertà, castità e obbedienza, molto più che voti: si tratta infatti dei pilastri su cui fondare l’agire

L’opinione di padre Bentoglio: «Consacrati? Orizzonte di santità»

Gabriele Bentoglio *

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, pubblicata il 19 marzo 2018, Papa Francesco ha scritto che «il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente». In effetti, è chiaro che tutti i cristiani, qualsiasi sia il loro stato o la scelta di vita, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione nell’amore. Ed è Gesù Cristo il maestro e il modello di ogni perfezione, che ha predicato la necessità di una vita di santità a tutti i suoi discepoli indistintamente, dicendo loro: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste», declinando l’esortazione veterotestamentaria: «siate santi, perché io sono santo». Per questa ragione Gesù ha inviato lo Spirito Santo, per incoraggiarli ad amare Dio con tutto se stessi e ad amarsi l’un l’altro come egli li ha amati. San Paolo, poi, ha esplicitato questo tema nelle sue lettere, scrivendo: «benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, ...in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità». Nella prima lettera ai Tessalonicesi ha precisato: «questa è volontà di Dio: la vostra santificazione».

Ora, uno dei modi per corrispondere alla vocazione alla santità è la vita consacrata, che nel Codice di Diritto Canonico è descritta così: «la vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino, per l’azione dello Spirito Santo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste». Il Santo Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Vita Consecrata, del 25 marzo 1996, ha spiegato che i “pilastri” sui cui si regge la vita consacrata sono i voti di povertà, castità e obbedienza, che di fatto caratterizzano donne e uomini che sono chiamati a santificarsi nella vita religiosa, adempiendo in tal modo la loro missione nella Chiesa e nel mondo. Il Papa ha scritto che «attraverso la professione dei consigli, infatti, il consacrato non solo fa di Cristo il senso della propria vita, ma si preoccupa di riprodurre in sé, per quanto possibile, “la forma di vita, che il Figlio di Dio prese quando venne nel mondo”. Abbracciando la verginità, egli fa suo l’amore verginale di Cristo e lo confessa al mondo quale Figlio unigenito, uno con il Padre ; imitando la sua povertà, lo confessa Figlio che tutto riceve dal Padre e nell’amore tutto gli restituisce; aderendo, col sacrificio della propria libertà, al mistero della sua obbedienza filiale, lo confessa infinitamente amato ed amante, come Colui che si compiace solo della volontà del Padre, al quale è perfettamente unito e dal quale in tutto dipende».

Certo, i voti religiosi non sono un fatto personale e tantomeno un ideale, una teoria. Essi esigono di essere incarnati nella vita dei consacrati. E la via preferenziale perché siano concretamente declinati nella quotidianità è la fedeltà al carisma di fondazione e al conseguente patrimonio spirituale di ciascun Istituto. Infatti, proprio in questa fedeltà all’ispirazione dei fondatori e delle fondatrici, «…si riscoprono più facilmente – si legge ancora in Vita Consecrata – e si rivivono più fervidamente gli elementi essenziali della vita consacrata». E ancora, poco più avanti, al n. 38, si raccomanda la necessità di riscoprire «i mezzi ascetici tipici della tradizione spirituale della Chiesa e del proprio Istituto. Essi hanno costituito, e tuttora costituiscono, un potente aiuto per un autentico cammino di santità». Ecco tracciate le direttrici maestre del cammino di santità che è proprio di donne e uomini che abbracciano la vita consacrata. Si tratta di un itinerario che, con originale metodologia e orizzonte proprio, non si allontana dalla concretezza della vita, anzi, gli Istituti religiosi «sono invitati a riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei fondatori e delle fondatrici come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi». Coloro che scelgono la vita consacrata sperimentano che la santità non è automaticamente scontata, ma deve essere cercata con assiduità, coltivando nel cuore un desiderio ardente di raggiungerla. Tuttavia il desiderio o il proposito da soli non bastano: sono paragonabili ai bisogni primari come quelli della sete e della fame, che però si estinguono solo nel Signore Gesù. Ecco, nella vita consacrata le religiose e i religiosi sperimentano la profonda verità dell’esclamazione di Gesù che si trova nel vangelo di Giovanni: «chi ha sete venga a me e beva!».

Papa Francesco, in un discorso fatto a braccio il 6 luglio 2013 ai seminaristi, ai novizi e alle novizie provenienti da ogni parte del mondo, in occasione dell’Anno della fede, ha detto: «Qui vorrei sottolineare l’importanza, in questa vita comunitaria, delle relazioni di amicizia e di fraternità che fanno parte integrante di questa formazione. Arriviamo ad un altro problema qui. Perché dico questo: relazioni di amicizia e di fraternità. Tante volte ho trovato comunità, seminaristi, religiosi, o comunità diocesane, dove le giaculatorie più comuni sono le chiacchiere! È terribile! Si «spelano» uno con l’altro… E questo è il nostro mondo clericale, religioso… Scusatemi, ma è comune: gelosie, invidie, parlare male dell’altro. Ma io voglio dirvi che questo è tanto comune, tanto comune. Anche io sono caduto in questo. Non sta bene farlo: andare a fare chiacchiere. “Hai sentito…”, “Hai sentito…”. Ma è un inferno quella comunità! Questo non fa bene. Non parlare male di altri. “Ma, padre, ci sono problemi…”: dillo al superiore, dillo alla superiora, dillo al vescovo, che può rimediare. Non dirlo a quello che non può aiutare. Questo è importante: fraternità! Ma dimmi, tu parlerai male della tua mamma, del tuo papà, dei tuoi fratelli? Mai. E perché lo fai nella vita consacrata, nel seminario, nella vita presbiterale? Soltanto questo: pensate, pensate… Fraternità! Questo amore fraterno».

Articoli Correlati