Avvenire di Calabria

Un viaggio nel Centro che accompagna quanti erano finiti nelle maglie della “nuova” dipendenza tra minacce, sovraindebitamenti e fallimenti familiari

Salvi dall’abisso dell’azzardo, storie di ludopatia in Calabria

L’ex giocatore racconta: «Ero un bugiardo patologico; ho distrutto la mia famiglia, ma non li biasimo. Soltanto ora riesco a guardarmi allo specchio»

di Federico Minniti

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Un viaggio nel Centro che accompagna quanti erano finiti nelle maglie della “nuova” dipendenza tra minacce, sovraindebitamenti e fallimenti familiari. L’ex giocatore racconta: «Ero un bugiardo patologico; ho distrutto la mia famiglia, ma non li biasimo. Soltanto ora riesco a guardarmi allo specchio».

Ludopatia in Calabria, storie e numeri dell'azzardo

Ludopatia, cosa vuol dire viverla in prima persona? A raccontarcelo sono alcuni utenti del Centro semiresidenziale del Cereso, che a Reggio Calabria stanno vivendo un percorso terapeutico per uscire dal dramma del Gioco d’azzardo patologico (Gap). Per motivi di riservatezza, le loro dichiarazioni resteranno in anonimo.

«Si stanno accendendo in questo periodo i riflettori sul problema del Gioco d’Azzardo Patologico solo perché ha coinvolto personaggi pubblici». Questa la riflessione a caldo di un ex giocatore d’azzardo: eppure sono tantissime le persone vittime della dipendenza da Gap che nascondono questa condizione alla propria famiglia, agli amici, ma soprattutto a sé stessi. Il loro percorso, ci confermano dal Cereso, arrivano spesso perché «trascinati da un familiare che appare sopraffatto dall’impotenza, dalla rabbia, dalla delusione di aver creduto alla frase ricorrente “aiutami a risanare questo debito e ti prometto che smetto”».

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«All’inizio venivo perché volevo tenere bassa la tensione a casa. Ero stanco di urla, recriminazioni, giudizi che mi facevano sentire ancora più sbagliato. Sapevo - racconta l’uomo - di avere fatto danni, soprattutto economici, ma non accettavo che mi dicessero che, se volevo, potevo smetterla. Fosse stato così semplice, non mi sarei ridotto al lastrico. Ci ho provato tante volte a non giocare più, ma dopo un po’, inspiegabilmente ricadevo. Quando mia moglie sapeva che ero al Centro, non mi pressava con tante domande: non sopportavo il suo interrogatorio, né avevo voglia di fare sempre discussioni. All’inizio era così, poi ho cominciato a credere nel cambiamento».

Il percorso riabilitativo proposto per i giocatori d’azzardo punta molto sulla terapia di gruppo. È questo lo spazio in cui hai la possibilità di rileggere la propria storia, attraverso l’ascolto, la condivisione del vissuto dell’altro. Uno spazio di libertà in cui l’assenza di giudizio favorisce il contatto con se stessi, si è stimolati a guardare al proprio funzionamento con onestà, smascherati dal confronto di chi conosce bene gli stessi meccanismi che per lungo tempo hanno fatto della bugia un’arte creativa capace di rappresentare realtà parallele di cui a volte si è rimasti convinti, ma che poco sapevano di verità.

«”Sei un bugiardo patologico!” mi dicevano i miei genitori, “non cambierai mai! Tu ci usi solo per pagare i debiti, non ti importa niente di noi!”. Quante volte quelle parole mi sono risuonate come sentenze senza appello. È vero, - confida un ragazzo - raccontavo tante, troppe bugie. Lo facevo per sopravvivere, o meglio, ero convinto che così avrei vissuto meglio, ma non avevo fatto i conti con i sensi di colpa. Sapevo bene che nonostante tutto erano ancora lì, non mi hanno lasciato mai solo, so che mi vogliono bene, ma quando sei dentro il vortice del gioco non capisci niente. Tutto viene dopo, anche gli affetti. Così ho perso la mia ragazza. Non la biasimo: perché stare con una persona che non cambierà mai e può portare solo problemi? Qui sto cominciando a credere che posso essere finalmente me stesso, senza essere condizionato dal gioco».


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Il gruppo è il luogo della condivisione profonda: «Avevo pensato che bastasse non giocare per qualche mese - spiega un ospite del Centro - per sentirmi più forte e sicuro davanti ai richiami diffusi offerti ovunque. Pensavo potessi farcela, senza andare un po’ più a fondo e guardarmi dentro. Ho cominciato a diradare la presenza al gruppo, a saltare gli appuntamenti con la terapeuta, ad abbassare il livello di guardia, così tutta la fatica che avevo fatto nel tempo per aprirmi, fidarmi di quelle persone, in un attimo l’avevo messa da parte. È iniziato di nuovo il circuito della solitudine, della chiusura e delle maschere. E poi sono ricaduto nello stesso meccanismo: non volevo sentire ancora una volta il fallimento di non esserci riuscito. Ho avuto fatica a riprendere il percorso, ma poi ho capito che qui nessuno ti giudica».

Non ci sono, infatti, garanzie di riuscita, se non quando il giocatore decide di avviare un percorso di cambiamento che non toccherà solo la dinamica della dipendenza, ma gli offrirà l’opportunità di rafforzare tutte le aree individuate come zona fragile personale: «Oggi - testimonia un altro dei partecipanti al Gruppo - ho compreso che deve modificarsi il mio modo di approcciare alle cose e con l’aiuto dei professionisti e dei miei familiari, mi sto impegnando a vivere questo percorso perché lo voglio io e non per far contenti gli altri».

Durante i gruppi ci si confronta quindi sulla vita vissuta, rileggendo in particolare il proprio modo di agire, le conseguenze generate, creando nuovi spazi di conoscenza personale e altrui. La presenza del facilitatore garantisce continuità tra questo strumento e tutto il percorso che ha un’attenzione particolare per ciascuno: «Io non so quanto durerà questo percorso, oggi non mi interessa più. Finalmente ora posso guadarmi allo specchio senza indirizzarmi aggettivi terribili, senza provare schifo e pensieri negativi. Ho imparato nel gruppo a cogliere il dolore, il disagio, la rabbia negli occhi degli altri per ritornare ad accogliere il mio sentire. Ho imparato che il gioco d’azzardo patologico è una malattia, ma si può riuscire a raggiungere un livello di benessere tale da non alimentarne la gravità».

L'esperienza del Cereso: una porta aperta dal 2007

Il Cereso ha avviato dei percorsi di supporto per persone con dipendenza da Gioco d’azzardo patologico (Gap) già dal 2007, quando si cominciava a rappresentare il problema in città. Dapprima si rivolgevano al Centro d’Ascolto persone che erano state in trattamento per altre dipendenze da sostanza e alcol, negli anni successivi si intensifica la richiesta da parte di familiari di giocatori d’azzardo che non riuscivano a fronteggiare da soli la situazione.

Nel tempo si è definita una proposta specifica che oggi continua ad essere indirizzata a giocatori e loro familiari, grazie anche al “Piano Regionale 2017 Gioco d’Azzardo Patologico - Regione Calabria” che ha evidenziato delle criticità generali, confermate an- che sul nostro territorio provinciale. Il lavoro di Rete realizzato fino ad oggi seppur ancora non impegnato al massimo nel merito del Gap è l’opportunità che viene offerta dal Piano regionale Gap, ci ha messo nelle giuste condizioni di provare a costruire un progetto integrato per il contrasto del GAP, in cui il pubblico e il privato sociale creano sinergie di intervento per consolidare buone prassi in grado di offrire servizi davanti ad un fenomeno che cresce sempre di più nelle proporzioni e nel dramma di chi è rimasto coinvolto in questa dipendenza.

L’attività di ascolto e condivisione L’esperienza ha inoltre dimostrato come la maggioranza dei giocatori non sia pronta a sostenere un invio immediato ai servizi territoriali, ma richieda spesso un percorso lungo di sostegno e rinforzo alla motivazione iniziale. Esaminare con cura la motivazione del giocatore che chiede aiuto, le sue attese e i suoi obiettivi, se ci sono persone di riferimento disponibili ad affiancarlo nel percorso, diventa importante per comprendere se ci sono le condizioni necessarie per avviare un percorso riabilitativo.

Nel Progetto “Fate il nostro gioco” attivo dal 2020, grazie ai fondi regionali, è stato avviato un Centro semiresidenziale, presso la sede del Cereso a Sambatello, rivolto a Giocatori patologici, Giocatori problematici e Persone in grave disagio economico e gravate da indebitamento a causa di pratica di gioco d’azzardo. Gli stessi sono inviati a seguito della presa in carico presso le sedi che l’Asp ha indicato, tra cui il SerD di RC e Polistena.


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Il percorso terapeutico dei soggetti presi in carico, in seguito alla sottoscrizione del contratto terapeutico si articola in: colloqui settimanali individuali con l’educatore e colloqui settimanali di psico-educazione (individuali e/o di gruppo, nella prima fase del percorso) e incontri periodici con i familiari e “tutoraggio economico” per il controllo delle spese e del flusso del denaro.

Fra tanti, il primo obiettivo da acquisire è proprio il concetto di disturbo in alternativa a quello più consueto ma caratterizzato in senso moralistico di “vizio”. Ciò può consentire di sollevare i pazienti dal senso di colpa, soprattutto nei confronti dei familiari. Nella seconda parte del programma, i colloqui sono orientati alla verifica del percorso terapeutico del familiare in trattamento e al supporto del familiare stesso.

In alcuni casi è richiesto un supporto farmacologico e la psicoterapia individuale aiuta ad approfondire vissuti e rafforzare le motivazioni al cambiamento. La partecipazione ad attività laboratoriali espressivi favorisce il contatto con sé stessi, l’armonizzazione del proprio mondo emotivo e la sperimentazione di nuovi canali comunicativi per migliorare il proprio modo di relazionarsi. Solitamente i trattamenti si assestano tra i sei mesi e un anno. Il percorso prevede una fase iniziale di maggiore frequenza e impegno e un graduale allontanamento e ricostruzione della propria autonomia personale, familiare e sociale.

La riflessione dell'Asp di Reggio Calabria

di Elisabetta Felletti * - Il Gioco d'Azzardo patologico (Gap) è una problematica che ha avuto un riconoscimento nosografico solo nel 2014 con l’avvento delle cosiddette “dipendenze senza sostanza”. Tutt’ora è presente uno stigma nei confronti di queste persone perché si continua a parlare di “vizio” con atteggiamenti colpevolizzanti.

Per quella che è la nostra esperienza, tenuto conto che già nel 2007 abbiamo incontrato i primi giocatori, la percentuale è sempre in aumento. È una patologia assolutamente trasversale; infatti afferiscono al Servizio persone di età che vanno dai 20 fino a oltre i settanta anni di varia estrazione sociale: disoccupati, professionisti, uomini e donne.

Rispetto al tipo di gioco esiste una differenza tra i due sessi: gli uomini preferiscono le slot machine le sale gioco e i giochi on line, mentre le donne prediligono il gratta e vinci, il bingo, il lotto. Queste ultime accedono ai servizi in numero esiguo perché, forse per vergogna, non si rivolgono a noi. Spesso dietro ci sono vissuti di grande solitudine: donne, anche giovani, non integrate all’interno di famiglie poco affettive, donne anziane, spesso vedove, le cui giornate sono sempre uguali.

Emblematica la vicenda di una signora di 70 anni che, in un sol giorno, arrivava a giocarsi al Gratta e vinci tutta la pensione e poi chiedeva prestiti per il resto del mese. Lì il gioco trova spazio per infiltrarsi subdolamente. Il sommerso riguarda non solo le donne, ma anche i giovanissimi che non giungono alla nostra osservazione forse perché sottovalutano l’entità del problema.

Da qui l’importanza delle campagne di prevenzione. Anche in questa ottica è nato il progetto “Fate il Nostro Gioco” per il contrasto al gioco d’azzardo promosso dalla Asp di Reggio Calabria in partenariato con il privato sociale accreditato della provincia di Reggio Calabria che, giunto alla terza annualità, si concluderà nel dicembre 2023. Le finalità che sono state perseguite riguardano la prevenzione e il contrasto del Gap, attraverso la promozione di una serie di iniziative finalizzate a informare e sensibilizzare la popolazione a livello regionale rispetto al fenomeno implementando percorsi di diagnosi, cura e riabilitazione delle persone affette da questa forma di dipendenza, nonché il supporto alle loro famiglie.

L’identificazione precoce dei soggetti a rischio rappresenta un elemento primario per poter garantire interventi tempestivi e prevenire l’eventuale aumento della popolazione appartenente al profilo del giocatore d’azzardo.


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Pertanto, all’interno del progetto, gli operatori del Serd si sono occupati dell’accoglienza dei giocatori e della diagnosi e hanno gestito la realizzazione di moduli formativi di aggiornamento rivolti agli operatori del pubblico e del privato sociale accreditato e i corsi di formazione ri- volti alle forze dell’ordine per favorire una cultura comune di prevenzione oltre agli interventi di control- lo nei contesti di gioco clandestino e del gioco legale.

Ritornando alle caratteristiche del giocatore, è possibile che nella stessa persona si associno delle patologie psichiatriche che sarà necessario trattare farmacologicamente e disturbi da uso di sostanze (più frequentemente cannabis, alcool e cocaina). Il craving, cioè il desiderio irresistibile nei confronti del gioco è del tutto sovrapponibile ai pazienti con disturbo da uso di sostanze.

Tutto questo rende ancora più impegnativo il trattamento. Il gioco diventa totalizzante deprivando il soggetto della vita relazionale e del ruolo sociale ricoperto. Il giocatore vive una grande sofferenza rispetto alla sua incapacità a fermarsi ed è possibile che arrivi ad attuare comportamenti anticonservativi. Le frequenti ricadute danno un senso di fallimento e possono essere causa di abbandono del programma.

Non sarà facile ritrovare la fiducia e riprendere il percorso interrotto. Più di un nostro paziente ha tentato il suicidio e moltissimi hanno pensato almeno una volta nella loro vita a farla finita. Alla luce delle problematiche tutt’ora riscontrate e, delle attività che sono risultate efficaci, il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Asp di Reggio Calabria, in occasione dei lavori del Tavolo Regionale sulla Salute Mentale, ha proposto l’implementazione degli organici dei Servizi coinvolti proprio per sostenere, ulteriormente, le attività già intraprese e proseguire la proficua collaborazione con il privato sociale accreditato.

* dirigente Ser.D. RC

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