Avvenire di Calabria

Sentiamo spesso parlare di malattie croniche e il più delle volte non si ha la contezza di cosa esse rappresentino e cosa comportino

Malattie croniche, quale intervento?

Le indicazioni dell'esperta: «Prima di tutto restituire dignità al paziente: ecco come vanno affrontate»

di Alessandra Repaci *

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Sentiamo spesso parlare di malattie croniche e il più delle volte non si ha la contezza di cosa esse rappresentino e cosa comportino. Ogni giorno migliaia di persone ricevono una diagnosi di questo tipo e secondo il rapporto dell’Oms sono circa 17 milioni di persone che muoiono prematuramente ogni anno nel mondo. Secondo i dati Istat 2022, 4 italiani su 10 soffrono di almeno una malattia cronica e 2 su 10 di due o più malattie croniche. (fonte Sanità24.ilsole24ore.com).

Ma andiamo nello specifico. Che cosa sono le malattie croniche?

Le malattie croniche rappresentano dunque tutte quelle patologie che dal momento della diagnosi accompagnano la storia di vita di un individuo, con una sintomatologia che non si risolve col passare del tempo, motivo per cui sono definite invalidanti. I sintomi però nonostante non vi è una medicina in grado di guarire la persona, con la giusta cura possono attenuarsi notevolmente, rallentandone il decorso; in altri casi, essi si mostrano altalenanti, e possono essere più presenti in certi periodi rispetto ad altri. 


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Tra le più diffuse: il nanismo ipofisario, la sclerosi multipla, il Morbo di Parkinson, la pancreatite cronica, il diabete mellito, l’insufficienza renale cronica, l’artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, la malattia di Crohn, la fibrosi cistica, il glaucoma, i tumori maligni, il Morbo di Alzheimer, le malattie respiratorie croniche etc.

Le fasi

Quando dopo i vari accertamenti, le visite e il sospetto che determinati sintomi si tramutano in diagnosi, arriva la crisi. Un senso di angoscia travolge la persona in toto. Si vivono delle fasi che indicano quali tipi di sensazioni ed emozioni provano le persone coinvolte.

La prima fase dunque si identifica con shock e negazione ovvero l’incredulità e la fatica a credere che tutto ciò possa essere vero. La mente cerca di negare l’evento per difendersi e proteggersi da questa sofferenza.

La seconda fase è quella della rabbia in cui la persona arriva anche a credere che sia stata una sorta di punizione divina. Si rimanda la rabbia verso qualcuno (anche un medico a cui si recrimina di aver sbagliato diagnosi).

La terza fase è quella della contrattazione in cui l’individuo investe in interessi o altro per cercare di ricevere qualcosa in cambio per riparare alla situazione che si è venuta a creare.

La quarta fase è quella della depressione in cui inizia a ragionare del fatto che la malattia potrebbe essere vera e acquisendo consapevolezza ci si ritrova in uno stato di isolamento sociale e sofferenza.

L’ultima fase è l’accettazione ovvero l’elaborazione della situazione e capire cosa fare da questo momento in poi e fino al tempo che resta.

Queste fasi sono state elaborate da una psichiatra Elisabeth Kubler-Ross che si occupò di cure palliative e sostegno alle famiglie dei pazienti colpiti. Sono state identificate come le fasi dell’elaborazione del lutto.

Il disagio psicologico

Le malattie croniche investono tutte le sfere dell’individuo portando dei cambiamenti inevitabili col tempo. L’impatto si riflette sull’immagine corporea poiché è il corpo che subisce i cambiamenti più significativi a livello oggettivo. Un corpo che cambia che non è più in grado di svolgere le normali attività svolte fino a quel momento. Arriva un cambio vita indispensabile, vengono meno le certezze sul futuro e sulle relazioni sociali. 

Bisogna ridefinire il proprio ruolo riformulando la propria identità, cercando di mantenere un sé comunque integro, nonostante il decorso e i cambiamenti che esso comporta. Tra i più significativi abbiamo:

Cambiamenti all’interno della famiglia, con una inevitabile rivisitazione dei ruoli: il pensiero di dover dipendere da qualcuno e di essere un peso si fa strada sin da subito.

L’aspetto lavorativo che cambia: col passare del tempo la condizione fisica viene meno e questo fa sì che la persona debba cambiare lavoro o mansione per potere garantire una continuità. Nel peggiore dei casi in base all’evoluzione della malattia vi è la perdita del lavoro.

La chiusura sociale: diventa difficile mantenere il ruolo sociale che si è sempre avuto. Cambia il rapporto con gli amici, nonostante l’aderenza alle cure mediche il corpo richiede sforzi fisici non indifferenti e difficilmente si riesce ad affrontarli.

Il rapporto di coppia col progredire della malattia diviene fortemente compromesso inclusa la sfera sessuale.

L’emotività tradotta in rabbia, paura, angoscia e frustrazione a fronte del cambiamento e della malattia.

L’aspetto economico fortemente compromesso soprattutto all’inizio della fase diagnostica.

La gestione degli aspetti emotivi e psicologici

Naturalmente la scoperta della malattia oltre allo shock iniziale provoca una forte crisi emotiva e psicologica, poiché all’inizio come in tutte le fasi si ha poca conoscenza della malattia in sé e di cosa essa comporta a lungo termine. (Ogni patologia sottolineiamo sempre ha caratteristiche diverse e l’impatto su ogni soggetto è altrettanto diverso).

Vi è preoccupazione, (“cosa devo aspettarmi”, “cosa mi succederà”), incertezza, smarrimento, sentimenti contrastanti, sbalzi d’umore, rabbia come abbiamo menzionato precedentemente descrivendo le fasi dell’elaborazione del lutto.

Ansia per la paura della sofferenza o la paura di come potrebbe presentarsi lo scenario futuro.

La resistenza iniziale al cambiamento, la scarsa capacità di elaborazione alla nuova modalità di vita, accompagnata dall’umore depresso e dalla chiusura sociale che spesso ne compromette le relazioni e gli interessi personali coltivati fino a quel momento.

Il ruolo dello psicologo

Lo psicologo rispetto al medico che ha in cura il paziente da un punto di vista prettamente farmacologico, organico, si occupa di quelli che sono gli aspetti prettamente psicologici, emotivi, cognitivi. Si occupa di accogliere il paziente e i suoi disagi emotivi legati soprattutto a quella che è l’accettazione della malattia per agevolare e facilitare l’approccio alle cure, rallentarne il decorso e favorire una qualità di vita migliore:

  • Accoglie dunque e aiuta a gestire le proprie emozioni, riuscire a imparare a gestire la rabbia e la frustrazione attraverso un percorso terapeutico mirato per contenere anche il dolore fisico.
  • Lavorare sull’autostima, poiché il paziente si concentra solo su ciò che non riesce più a fare quindi sui limiti che ovviamente mettono in dubbio le capacità e la possibilità di raggiungere nuovi obiettivi.
  • Riscoprire una piena accettazione di sé. Nonostante spesso ci si sente inadeguati per la società nel momento in cui gli altri vedono i segni che la mattia lascia sul corpo, quando l’invisibile dunque diventa visibile agli altri.
  • Favorire una nuova elaborazione del lutto, ricominciare da quello che si è e non da quello che si era. Non anteporre limiti ma nuovi strumenti per cambiare prospettive e abitudini aprendoci alle nuove possibilità che la vita ci offre con ciò che abbiamo. Un cambiamento di pensiero dal negativo al positivo che ci aiuta a capire chi siamo, cosa vogliamo e cosa ci serve per essere più consapevoli per ripartire.

Supporto familiare

Lo psicologo aiuta e supporta la famiglia in toto, dal caregiver a tutti gli altri membri attraverso un percorso psico-educativo che aiuta a gestire le emozioni, le mediazioni col paziente, la resilienza e l’autoefficacia, aumentando le strategie di coping necessarie a far fronte alla situazione. Gestire lo stress favorendone il benessere.

Gli interventi possono essere svolti in ambito domiciliare anche tenendo in considerazione l’impossibilità del paziente agli spostamenti, o la possibilità di rimanere all’interno di un setting quello domestico che lo aiuta a contenere al meglio la sofferenza psicologica. E per i familiari migliorare la relazione con lo stesso ed anche il proprio senso di frustrazione di fronte al senso di impotenza provato nel non riuscire ad aiutare il familiare.


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Lo psicologo esercita un ruolo chiave e importante per aiutare l’individuo a riappropriarsi della propria dignità e di riuscire a mantenere una qualità di vita nonostante i sintomi spesso invalidanti, fornendo strumenti necessari volti a contenerne il dolore fisico, quali ad es. tecniche di rilassamento.

*psicologa

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