
Il primo Gioco della Pace nasce nella parrocchia di Pellaro
Presentato ufficialmente in occasione della recente visita dell’arcivescovo alla parrocchia di Santa Maria del Lume
Oggi in edicola vi proponiamo la storia di quattro mamme-coraggio fuggite dalle bombe in Ucraina. Attraverso le loro parole potrete provare lo sgomento e la paura che la guerra ha lasciato come segni indelebili, ma anche la grande (e speranzosa) forza per mettere in salvo i propri figli.
Non nascondono la loro commozione quando pensano alle case lasciate in fretta e furia. «Chissà se i bombardamenti le risparmieranno» ci dicono con un sorriso amaro. Oggi vivranno la Festa della Mamma a tremila chilometri di distanza dal loro paese, l’Ucraina in guerra da oltre tre mesi.
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Sono arrivate da Odessa e Nikolaev, due dei fronti più caldi, rispettivamente a fine marzo e metà aprile. Sono quattro donne che, da alcune settimane, vivono presso il Convento dei frati di San Francesco d’Assisi a Reggio Calabria. Mila, Lidia e Marina sono scappate assieme ai loro figli, quattro ragazzi che hanno ripreso le lezioni scolastiche in Dad.
Oksana, invece, è lontana dai suoi affetti: mamma e nonna vive nell’attesa costante di notizie positive da Odessa. «Purtroppo non è così - si lascia sfuggire Mila - le nostre città si stanno preparando all’ultima offensiva, costruendo barricate di sabbia e provando a razionalizzare l’acqua che scarseggia in quanto i militari russi hanno distrutto l’unica diga che approvvigionava i centri urbani».
Alle notizie angoscianti che giungono dall’Ucraina si aggiungono i traumi dei primi giorni di bombardamento: «Tante volte sentiamo volare un aereo ed è istintivo avere paura. Lo stesso è se sentiamo sbattere qualcosa. Non so per quanto tempo ci porteremo dietro tutto questo», dice Lidia.
Eppure lei è partita sola con due bambini, trovando luoghi di fortuna dove dormire in Moldavia. Poi l’arrivo in Italia: «Non nascondo che quando scendevamo in pullman da Milano a Reggio Calabria non sapevo se essere sollevata o meno. Dopo la prima notte passata qui, ho capito di essere finalmente al sicuro».
PER APPROFONDIRE: Da Kiev a Reggio Calabria, il racconto: «Le nostre case bombardate»
Sono mamme coraggiose che, però, non nascondono la loro paura. Spesso si confidano con le donne di Reggio Calabria che stanno accanto a loro durante questa esperienza in fuga dalle bombe.
Tra loro c’è Matilde, parrocchiana e volontaria a San Francesco d’Assisi. «Ha sempre una parola dolce per noi» dice commossa Oksana. Ad aiutarci nella traduzione c’è un’altra donna: Irina. Il saloncino dei frati sembra un focolaio dove la speranza riscalda i cuori di queste donne che guardano con angoscia a quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa.
Nelle loro parole, però, non troviamo neanche velatamente nessuno dei temi che animano i commentatori del conflitto. «Ai nostri figli non è stato difficile spiegare la guerra perché l’hanno vista coi loro occhi» aggiunge Marina.
Le quattro donne ucraine stanno studiando l’italiano: non sanno ancora per quanto tempo non potranno tornare nel loro paese. «Può sembrare assurdo, - afferma Lidia - ma tante volte penso che sto vivendo un incubo. Vorrei svegliarmi e vedere come non sia veramente successo tutto questo».
Donne forti, capaci di farsi carico del futuro dei loro figli. Donne che hanno dovuto imparare a scappare nei corridoi quando sentivano gli spari, «stare vicino alle finestre era troppo pericoloso» o infilarsi nei sotterranei dei palazzi: «Proprio quando eravamo lì sotto - spiega Mila - mio figlio mi ha detto: “Mamma andiamo via”».
Poche parole che sono bastate per fare un carico di coraggio. Oggi è una festa della mamma insolita, è vero. Ma per Mila, Lidia, Oksana e Marina è una domenica in cui poter guardare il cielo senza avere paura che cada una bomba sopra la loro testa. E per questo sono grate.
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