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Nel nono anniversario della scomparsa di Maria Chindamo, il luogo del delitto si trasforma in simbolo di riscatto: un giardino e una scultura per dire no alla cultura mafiosa e patriarcale. L’iniziativa coinvolge scuole, artisti, istituzioni e associazioni.
Il cancello dell’azienda agricola di Limbadi, dove nel 2016 è stata uccisa Maria Chindamo, diventa sempre più un presidio di legalità. La donna, madre e imprenditrice, ha pagato con la vita la scelta di non piegarsi alla cultura patriarcale e ‘ndranghetista. Il 6 maggio, data della sua scomparsa, sarà ricordata con un evento commemorativo carico di significati simbolici e politici.
Organizzato dal comitato “Controlliamo noi le terre di Maria”, insieme ai familiari della vittima e a una rete ampia di realtà associative – tra cui Centro Comunitario Agape, Libera, GOEL Gruppo Cooperativo, Comunità Progetto Sud, Penelope Italia, CCO Crisi Come Opportunità, Fondazione Una Nessuna Centomila, e il Centro di Women’s Studies “Milly Villa” dell’Università della Calabria – l’evento gode del patrocinio dei Comuni di Limbadi e Rombiolo.
Nel luogo simbolico dove fu ritrovata l’auto di Maria, sarà inaugurato uno spazio giardino progettato dagli studenti dell’Istituto d’Istruzione Superiore Itg, Iti e Ite di Vibo Valentia, insieme a una scultura commemorativa dell’artista Luigi Camarilla, che sarà illuminata grazie al sostegno dell’azienda Artemide e dell’associazione CCO – Crisi Come Opportunità, nell’ambito del progetto Illuminiamo le terre di Maria.
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Illuminare il 6 maggio non è solo un gesto simbolico, ma un atto politico, culturale e umano, che unisce memoria e futuro. «Il 6 maggio, giorno in cui è scomparsa Maria, è ormai una data simbolo per la Calabria: parla di libertà, di diritti, di vita», afferma Nancy Cassalia del Comitato. «Da questo luogo riusciamo a raggiungere le coscienze di tanta gente, creando una memoria collettiva volta al cambiamento».
L’associazione Crisi Come Opportunità, presente in Calabria dal 2018 con progetti su legalità, educazione di genere e giustizia minorile, partecipa attivamente all’iniziativa. «Promuoviamo cultura e realtà positive di riscatto come quella di Maria Chindamo», spiega Giulia Minoli, fondatrice e vicepresidente dell’associazione, ringraziando Intesa Sanpaolo, Fondazione con il Sud, Fondazione Haiku, IP Gruppo API e Acea per il sostegno.
Durante la giornata, nel giardino della memoria, si terrà anche un estratto dello spettacolo teatrale “Se dicessimo la verità”, scritto da Giulia Minoli ed Emanuela Giordano, che racconta la storia di Maria, rafforzando così il valore della data.
«Ognuno di noi rigenera la propria coscienza, comprendendo la necessità di un impegno quotidiano e concreto contro ogni potere abusante», dichiara Maria Joel Conocchiella, referente di Libera Vibo Valentia. «Siamo tutti e tutte Maria: donne libere di scegliere chi essere. Donne e uomini liberi di un Sud che cambia».
Anche la direttrice del Centro di Women’s Studies “Milly Villa”, Giovanna Vingelli, sottolinea l’importanza di favorire la comprensione delle forme di potere mafioso e di attivare percorsi trasformativi personali, politici e territoriali. Dello stesso avviso Lucia Lipari, vicepresidente del Centro Comunitario Agape, per cui «è indispensabile fare memoria oltre la retorica, gettando le basi per una cultura della riparazione che possa cucire le ferite lasciate dalla violenza mafiosa».
Le voci forti e coraggiose dei componenti del comitato si uniranno martedì 6 maggio alle 10 in Contrada Montaldo a Limbadi, per celebrare la bellezza della libertà, della giustizia e della collettività.
«Questo evento rappresenta l’espressione dei cittadini che resistono e si oppongono alla ‘ndrangheta patriarcale e violenta, che non potrà mai arrestare i sentimenti, i percorsi di crescita e riscatto», conclude Vincenzo Chindamo, fratello di Maria e responsabile delle relazioni esterne di GOEL – Gruppo Cooperativo. «Confidiamo nella speranza che questa data e questo luogo possano diventare sempre più un simbolo di coraggio e resistenza per tutte le donne soggiogate da una cultura patriarcale».
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