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Proseguono i riti del Triduo pasquale presieduti nella Basilica Cattedrale di Reggio Calabria. Poco fa si è conclusa la Solennità della Messa in Coena Domini durante la quale la Chiesa fa memoria dell'istituzione dell'Eucarestia. A presiederla il vicario generale dell’arcidiocesi, monsignor Pasqualino Catanese, in assenza dell’arcivescovo Morrone che ha raggiunto Isola Capo Rizzuto per la morte del padre Rosario.
È stata una celebrazione sobria ma intensa, quella vissuta nella Cattedrale di Reggio Calabria per la Messa in Coena Domini. Non ha potuto presiedere la liturgia l’arcivescovo metropolita Fortunato Morrone, raggiunto da un grave lutto familiare: nella mattina del Giovedì Santo, infatti, è venuto a mancare il padre Rosario Morrone, spirato serenamente a Isola Capo Rizzuto all’età di 96 anni.
A presiedere la celebrazione è stato il vicario generale dell’arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova, monsignor Pasqualino Catanese, che ha guidato la liturgia con il rito della Lavanda dei piedi con i ragazzi dei percorsi del Cereso e l’Adorazione eucaristica al termine della celebrazione, come previsto dalla tradizione del Giovedì Santo.
Durante la liturgia, è stata letta l’omelia preparata dall’arcivescovo Morrone, che, pur nella sofferenza del lutto, ha voluto offrire alla sua comunità una meditazione profonda sul mistero dell’Eucaristia e sul gesto della Lavanda dei piedi. Un invito a vivere la carità fraterna come cifra autentica della vita cristiana, secondo l’esempio di Gesù servo e maestro.
Cari fratelli e sorelle, tutto il cammino dell’anno liturgico che ripercorre le vicende della nostra salvezza in Cristo Gesù trova il suo culmine nel triduo pasquale che si apre con la presente celebrazione in Coena Domini.
PER APPROFONDIRE: Messa del Crisma, Morrone: «Consacrati per annunciare»
Partecipando a questa santa Messa, come nelle altre celebrazioni a cui prendiamo parte, dovremmo, se non altro, avere consapevolezza di ciò che stiamo vivendo. Ma poiché di sante messe, almeno noi che frequentiamo, ne abbiamo celebrato, partecipate, ascoltate, a volte sopportate tante, può capitare che non facciamo più caso ai gesti e alle parole che la Chiesa ci propone di vivere nella liturgia.
È vero: in genere per noi praticanti il rischio di fare il callo alla ripetitività dei segni liturgici è sempre dietro l’angolo, ne segue che l’annuncio e la carica profetica ed esistenziale della s. Eucaristia viene come anestetizzata dalla ritualità liturgica.
La Chiesa nella sua sapienza dopo la consacrazione del pane e del vino, ci chiede di porre attenzione al mistero della fede che si è svolto sotto i nostri occhi e ci invita a rispondere con le parole che abbiamo ascoltato dall’Apostolo Paolo nella lettera ai Corinzi: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”.
In sostanza siamo invitati a immergerci con grata consapevolezza nel mistero salvifico operato da Gesù nell’evento pasquale della Sua morte e risurrezione e di cui siamo chiamati ad esserne gli annunciatori. Nell’Eucaristia inoltre mentre l’esistenza redentiva di Gesù viene come riassunta e compendiata nel pane donato e nel calice del vino versato per tutti, nello stesso tempo nella celebrazione eucaristica si visibilizza la Chiesa come Corpo del Signore i cui membri sono in comunione gli uni gli altri. Ecco in brevissime battute balbettate alcuni aspetti del grande mistero della nostra fede.
Ebbene, avete fatto caso che l’ultimo degli evangelisti, Giovanni, non riporta l’istituzione dell’Eucaristia come testimoniata dai Vangeli sinottici e da san Paolo? Probabilmente, per abituare la sua comunità a non rimanere sulla superfice dei gesti e delle parole ripetute nel rito della factio panis, tipico della prima comunità cristiana, preferisce descrivere la profezia dell’Eucaristia nella stessa notte della cena pasquale del Signore, con gesto sconcertante e scandaloso del Maestro, la lavanda dei piedi, che tra poco noi metteremo in scena per fare memoria viva dell’esistenza del Signore Gesù. Collocato nell’Ultima Cena il gesto di Gesù ci rendi attenti al mistero dell’Eucaristia, sacramento capitale per la vita della chiesa e qui letta come chiave interpretativa del mistero di Dio rivelato in Gesù e di conseguenza della nostra vita.
L’evangelista inoltre sembra rendere plasticamente visibile l’affermazione sconcertante del Maestro presente in Marco e in Matteo: “il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 47). Ed eccoci al gesto della lavanda dei piedi in cui il Maestro intende esprimere la totalità del suo amore nei confronti dei suoi: “li amò sino alla fine”, sino alla consumazione di sé stesso, offrendo così chiara testimonianza all’Amore, verità di Dio e dell’uomo, [ho desiderato ardentemente mangiare la pasqua con loro (Lc 22)].
L’azione inaudita di Gesù è così estranea alla cultura del tempo e alla nostra, che Pietro non esita a tirarsi indietro: aveva capito che in quel linguaggio simbolico Gesù capovolgeva l’ordine costituito di questo mondo, quello da noi messo in piedi in cui ci sono padroni e sottomessi, superiori e inferiori, dominatori e dominati.
Al contrario l’Altissimo si consegna all’uomo nell’infinita e inarrivabile gratuità dell’amore di Cristo, quale agnello che non oppone resistenza e annienta il male con il bene, la vendetta con il perdono, il veleno mortifero di ogni violenza con l’antidoto della misericordia. Un catino d’acqua, un asciugatoio usati da Gesù per lavare e asciugare i piedi dei suoi sono allora come l’icona della compassione di Dio nei confronti di tutti, il simbolo del dono del Maestro che liberamente spezza la sua esistenza come pane e vino donato e condiviso perché tutti abbiano la vita in abbondanza.
Il gesto di Gesù si trasforma nella memoria vivente della Chiesa in cammino nel tempo, in sacramento della presenza dell’amore di Cristo che salva perché dona se stesso, la sua vita, senza misura fino alla morte e alla morte di croce.
È necessario però che la provocazione profetica di Gesù sia compresa: ed ecco la pedagogica domanda del Maestro: “Capite quello che ho fatto per voi?”. Cosa avremmo risposto? [Ognuno risponda nel suo cuore…]
Il magistero del Maestro è chiaro e diretto: se vi ho lavato i piedi, se vi amato così, allora imitatemi, fate come me, pensate e agite come me! Imparate da me.
L’Eucaristia è la speciale scuola permanente del Maestro che crea cultura di altissimo profilo umano e di cui ci si nutre mentre alla scuola della Sua vita apprendiamo a vivere con lo stesso amore misericordioso con cui siamo stati amati. Il gesto eucaristico di Gesù richiede pertanto di essere fatto proprio dai suoi discepoli, da ciascuno di noi senza alcuna scorciatoia.
L’Eucaristia è comunione con il Signore solo se l’esempio da Lui offerto viene posto in essere anche da noi. La prassi salvifica del Signore deve essere la prassi dei suoi discepoli, le Sue scelte di vita quelle dei cristiani. In altri termini l’Eucaristia celebrata ci spinge a realizzare il comandamento nuovo del Signore, l’unico necessario e vincolante, l’unico che rimette l’umanità in piedi e la fa ripartire: “amatevi come io vi ho amati”.
Quando infatti ci viene insegnato che l’Eucarestia fa la Chiesa significa che la forma della Chiesa nella sua essenza è lavarsi i piedi gli uni gli altri. Questo gesto simbolico posto in essere da Gesù nella sua crocifissione gloriosa è la tessera di riconoscimento dei discepoli del Signore, l’identità profonda della Chiesa, il suo essere sacramento salvifico del Signore in questo mondo, sacramento dell’umanità nuova, l’alternativa carica di speranza a un mondo mondano che nella sua follia omicida e perversa non arretra neanche di fronte ai volti inermi e innocenti dei bambini. La testimonianza del Signore è così testimonianza eucaristica: “Vi riconosceranno che siete miei discepoli da come vi amerete gli uni gli altri”.
Ci rendiamo conto che il gesto eucaristico della lavanda dei piedi, sacramento dell’amore, simbolo evangelico per eccellenza, così come Gesù l’ha vissuto e testimoniato in tutta la sua esistenza terrena, richiede veramente una conversione personale ed ecclesiale radicale.
La celebrazione eucaristica, letta nella luce giovannea della lavanda dei piedi ci costringe, se crediamo in quello che celebriamo, a spogliarci delle vesti del nostro narcisismo egoistico e autoreferenziale che minaccia dall’interno anche le relazioni affettive famigliari e ancora di più quelle ecclesiali.
Ecco cari fratelli e sorelle il comando di Gesù “anche voi lavatevi i piedi gli un gli altri” ci rimanda al comandamento eucaristico: “fate questo in memoria di me”, l’uno spiega l’altro ed entrambi sono come racchiusi nella promessa di Gesù: “chi mangia me vivrà per me, come me” (Gv 6). In questa celebrazione chiediamo al Padre di ogni misericordia, per intercessione di Maria sua e nostra madre, di nutrire la nostra esistenza dell’unico cibo che realmente nutre la nostra umanità: Cristo Gesù, pane di vita eterna.
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