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Sono passati sette anni, ma resta una delle pagine più dolorose che appartengono ormai al vissuto della città di Reggio Calabria: il 29 maggio del 2016, giungevano al porto 45 salme di migranti morti nelle acque del canale di Sicilia, durante uno dei tanti "viaggi della speranza".
I giorni a cavallo tra maggio e giugno 2016 hanno lasciato una traccia indelebile in quanti li hanno vissuti in prima persona. Nel porto di Reggio Calabria arrivò la nave militare "Vega" con a bordo 629 migranti e i 45 corpi recuperati in mare dopo l'ennesimo naufragio avvenuto al largo della Libia.
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I cadaveri raccolti in mare appartenevano a 36 donne, sei uomini e tre minori con età che vanno da sei mesi a due anni. Tra i sopravvissuti c'erano 419 uomini, 138 donne e 72 minori di varia nazionalità (Pakistan, Libia, Senegal Eritrea, Nigeria, Siria, Marocco e Somalia).
Dei migranti arrivati in Calabria, 155 provenivano dal barcone che si era rovesciato al largo delle coste della Libia. Alle operazioni di sbarco, coordinate dalla Prefettura di Reggio Calabria, hanno partecipato i rappresentanti del Comune di Reggio, delle forze di polizia, dell'Azienda sanitaria e ospedaliera e del 118, le associazioni di volontariato e degli organismi umanitari.
Le 36 donne, i 3 bambini e i 6 uomini che hanno perso la vita in quel maledetto viaggio che avrebbe dovuto regalare nuova speranza, hanno trovato sepoltura, nella nuda terra secondo la tradizione dell'Islam, in un'area del piccolo cimitero di Armo, un frazione collinare della città, grazie alla sensibilità dell'Amministrazione comunale di Reggio Calabria e la diocesi di Reggio Calabria - Bova.
L'arrivo delle 45 salme, la corsa per dare ad esse un luogo dove riposare, il cimitero di Armo come degna sepoltura, i volti dei volontari, dei reporter, delle persone accolte, delle comunità e delle realtà ecclesiali e non solo che vissero quella stagione a Reggio, una città solidale. C’è questo e tanto altro nel documentario “Armo, storie di volontari e migranti”, realizzato dal film-maker reggino Antonio Melasi e presentato mercoledì 24 maggio nell’auditorium San Luigi Orione di Reggio Calabria.
Il documentario, che è già richiesto per diverse proiezioni in tutta Italia, parte dall’opera-segno del cimitero di Armo per raccontare quella stagione che vide la Chiesa reggina e le associazioni del territorio attivarsi per fare accoglienza, confortare, accompagnare, accogliere, curare le persone migranti che arrivavano attraverso il Mediterraneo. Tante esperienze, tante sfaccettature di un’unica grande voglia di far sentire a casa chi veniva percepito come straniero.
Il commovente documentario realizzato da Antonio Melasi è stato presentato in un evento guidato dalla giornalista Anna Foti, che ha moderato gli interventi della direttrice della Caritas diocesana Maria Angela Ambrogio, del vicario episcopale monsignor Pasqualino Catanese e naturalmente dello stesso Melasi: «È un lavoro che mi ha toccato profondamente - ha affermato il documentarista reggino - e confesso che mi ha fatto conoscere una realtà di cui sapevo poco».
«Mi sono reso conto che al di là delle semplificazioni e delle narrazioni politiche, c’è un mondo di umanità, sofferenza e solidarietà nelle storie dei migranti e dei volontari, una storia che ha un valore pedagogico e lo ha avuto per primo in me».
Poco meno di un anno fa, il 10 giugno, il cimitero dei migranti e dei poveri di Armo, veniva consegnato alla città. Sul luogo è infatti intervenuto un progetto di Caritas Italiana su input della Caritas diocesana di Reggio Calabria, con l'obiettivo di creare un luogo simbolico ed educativo per tutta la comunità.
«Caritas Italia ha subito sposato questo progetto, sostenendolo con le proprie risorse e supportando il grande sforzo fatto dal territorio», aveva spiegato il quella circostanza il direttore di Caritas, don Marco Pagniello. «Questo luogo - ancora le sue parole - deve essere un segnale forte che arriva alle Istituzioni nazionali ed europee: tutti hanno diritto di partire, tutti abbiamo il dovere di accogliere».
«Quest'opera di carità è un'opera politica», le parole, invece, dell'arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova e presidente della Cec, monsignor Fortunato Morrone, nel lanciare «un messaggio a tutti i calabresi: non delegate mai».
«La Chiesa ci sarà sempre per gli ultimi. Ce lo chiede il Vangelo. Ma questo non deve far dormire sugli allori quanti devono avere una visione politica della società. La questione dei migranti non può e non deve più essere gestita come un'emergenza», il suo messaggio alla politica.
Quei giorni del 2016 «sono stati gli unici in cui non abbiamo ballato al Porto», il ricordo dei volontari del Coordinamento diocesano sbarchi. Quelle donne e quegli uomini hanno negli occhi le immagini, «quei quarantacinque chiodi con cui è stata trafitta la croce al porto», che oggi ritrovano finalmente la giusta dignità.
«Abbiamo consolato le madri che piangevano per i loro figli, abbiamo abbracciato i figli che avevano perso la loro famiglia. Abbiamo lasciato tutto per essere lì con loro, così come oggi siamo qui» ancora il loro ricordo.
Proprio per commemorare, fra le altre, le 45 anime le cui salme sono state accolte sette anni fa al porto di Reggio Calabria, il 5 giugno la diocesi di Reggio Calabria - Bova e il Comune di Reggio Calabria celebrano la Giornata della memoria per le vittime del mare.
«Ricordare per generare responsabilità» è il tema che accompagnerà riflessione e preghiera interreligiosa. La commemorazione sarà proprio al cimitero di Armo, alle 18.30.
PER APPROFONDIRE: Consegnato il cimitero dei migranti di Armo, Morrone: «Opera di carità, opera politica»
Dopo i saluti dell’arcivescovo Morrone e del sindaco facente funzioni Brunetti e l’omaggio con musica e fiori, sarà recitata una preghiera africana, seguita dalla preghiera di un rappresentante del volontariato reggino. A seguire, un giovane eritreo racconterà la sua “odissea”, ma anche la “rinascita” in terra calabrese. Quindi di nuovo a pregare in ucraino e con rito copto. Infine, la preghiera islamica guidata dall’Imam.
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