Avvenire di Calabria

Dalla centrale piazza Italia a via Reggio Campi: storia dei «trasferimenti» del monastero di Santa Maria della Visitazione tra terremoti e fughe inseguendo la quiete

Il monastero della Visitazione a Reggio Calabria: storia e aneddoti

La comunità religiosa «posta al centro della città, sopra una bella piazza, frequentata di giorno e di notte, trovavasi esposta a mille inconvenienti pregiudizievoli per le religiose»

di Renato Laganà

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Dalla centrale piazza Italia a via Reggio Campi: storia dei «trasferimenti» del monastero di Santa Maria della Visitazione tra terremoti e fughe inseguendo la quiete. La comunità religiosa «posta al centro della città, sopra una bella piazza, frequentata di giorno e di notte, trovavasi esposta a mille inconvenienti pregiudizievoli per le religiose».

Reggio Calabria, la storia del Monastero della Visitazione

Il 7 luglio 1753, nell’area in cui oggi è situato la Prefettura, nella centrale Piazza Italia, l’antico Palazzo Musitano diventava la sede di un nuovo organismo religioso a seguito della comunicazione con la quale Carlo Bozzi, governatore di Reggio, rendeva pubblica l’ordinanza di Carlo III di Borbone, relativa alla fondazione del monastero, «sotto le regole di San Francesco di Sales».

Le tre sorelle Musitano (Angela, Flavia e Virginia), che avevano maturato la vocazione alla vita contemplativa, furono indirizzate alle regole da monsignor Stefano Morabito, poi vescovo di Bova, ebbero in dono dai genitori l’edificio che si affacciava sull’antico Largo San Silvestro.

Qualche anno dopo si aggregarono anche le due sorelle del monsignore (Anna Maria e Maria Giovanna) che avevano acquistato un edificio attiguo poi destinato ad oratorio. L’11 novembre 1754, completati i lavori di adattamento, monsignor Morabito, su delega dell’arcivescovo Polou, benediva i locali del nuovo Monastero.

Nel 1769 Morabito, ormai emerito, alloggiava nel vicino Convento dei Domenicani e fece iniziare a sue spese la costruzione della nuova chiesa del monastero, chiamando «valenti Architetti di Messina» . Tre anni dopo, nel 1772, la chiesa venne completata. Il terremoto del 5 febbraio 1783 rovinò in gran parte il monastero, tranne la chiesa rimasta intatta.


I NOSTRI APPROFONDIMENTI: Stai leggendo un contenuto premium creato grazie al sostegno dei nostri abbonati. Scopri anche tu come sostenerci.


Le suore furono costrette dapprima a trovare alloggio presso una casa per poi trasferirsi nella baracca che aveva in precedenza ospitato le Benedettine di Santa Maria della Vittoria.

Nel febbraio 1790, Ferdinando IV, avendo avuta notizia del disagio, disponeva la ricostruzione del Monastero a spese della Cassa Sacra. Il nuovo tracciato urbano a scacchiera aveva determinato la frammentazione della proprietà tagliata dal nuovo percorso stradale della Via Terme.

La parte di proprietà dell’isolato, denominato «isola di San Giuseppe», venne ricongiunta attraverso la costruzione di un passaggio sotterraneo. In essa venne realizzata una «graziosa villetta». La configurazione ottocentesca del Monastero la si può leggere nella parte inferiore del quadro di Maria Santissima della Consolazione (ancora oggi custodito dalle suore visitandine) che venne collocato, nel 1841, nella cappella fatta costruire da madre Barra.

L’edificio insisteva su un lotto urbano di forma quasi trapezoidale con il lato obliquo verso Piazza dei Gigli. La struttura, con l’addizione dei primi anni dell’Ottocento, si sviluppava lungo il fronte della via san Francesco di Sales. I lavori di ricostruzione erano stati seguiti, con la qualifica di «architetto», dal canonico Felice Barilla.

Le linee architettoniche erano dettate dalla specifica tipologia edilizia del convento al quale si erano aggiunti gli spazi per le educande. Due grandi portoni si aprivano ai lati della facciata orientale incastonati in portali con colonnine classiche lapidee che sorreggevano un timpano curvo.


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


Quattro piccole finestre con grate, poggiate su un sottile marcadavanzale si aprivano nella compatta compagine del piano terreno ed al centro campeggiava una lapide con incisa l’indicazione «Sales».

Al piano superiore si aprivano sei grandi finestroni di forma quadrata, racchiusi in cornici lapidee, anch’essi con grate. Lungo il fronte laterale meridionale si elevava il terminale uspidato del campanile della chiesa sul quale, ricollocata la campana originaria, intitolata a San Francesco, con l’aggiunta di una campana grande (intitolata a Santa Maria), e di un grande orologio meccanico donati dall’arcivescovo Tommasini, che provenivano dall’antico Collegio dei Gesuiti e di una campana piccola, intitolata a San Giuseppe donata da monsignor Barilla.

La necessaria riservatezza, fondamentale per una comunità religiosa dedita alla clausura, con il trascorrere degli anni venne meno. Infatti essa «posta al centro della città, sopra una bella piazza, la più frequentata di giorno e di notte, trovavasi esposta ai mille inconvenienti pregiudizievolissimi per un Monastero…».

Da una parte, si trovavano gli Uffici dell’Intendenza (dove oggi c’è il Palazzo della Provincia) e dall’altra si trovava «una fragorosa birreria, ove gli schiamazzi e le bestemmie erano una sorgente continua di distrazioni e di agitazioni interne». Già sul finire degli anni cinquanta del XIX secolo la superiora, madre Maietti, avviò le procedure per una nuova sede. Nell’area del rione Fornaci, su un terreno che era di proprietà Cortese e Dattola, con fronte sul prolungamento della nuova Via Possidonea, l’ingegner Giuseppe Costantino redigeva il progetto, sul finire del 1860.

L’unificazione dello Stato Italiano, l’anno successivo, ostacolò l’iniziativa anche per la promulgazione della legge che prevedeva l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte del Governo Nazionale. Nel 1871, in vista della costruzione della nuova sede, venne acquistato a monte della via Reggio Campi, un terreno di proprietà di Giuseppe Dattola, cui seguì l’acquisto di altri lotti dai signori Vilardi e, tre anni più tardi, di un’altra area, che era di proprietà della signora Eleonora Candeloro.

Ottenuto il permesso dell’arcivescovo Mariano Ricciardi, le suore promossero una straordinaria raccolta di fondi, nonostante le restrizioni governative, che consentirono, cinque anni dopo (1 agosto 1876), la posa della prima pietra, «all’angolo del Mezzodì».


PER APPROFONDIRE: Da ospedale a liceo: la storia della sede del “Leonardo da Vinci” di Reggio Calabria


Il nuovo progetto «per lo impianto del fabbricato da costruirsi in Reggio Calabria di proprietà della Società Salesiana di questa città» redatto dall’ingegner Francesco Paviglianiti le cui linee architettoniche erano, ispirate all’Art Nouveau apparve alle suore molto audace.

Il 4 marzo 1878, il Consiglio Edilizio approvava un nuovo «progetto per lo impianto di un fabbricato da costruirsi in Reggio Calabria di proprietà del reverendo signor canonico Giuseppe Bosurgi», confessore dell’Istituto. Dopo otto lunghi anni il Monastero era completato per la parte della Clausura e dell’Educandato.

Restava da costruire la chiesa i cui lavori, su progetto dell’ingegnere Rosario Pedace, furono avviati dall’arcivescovo Portanova il 20 febbraio del 1889. Essa venne completata nel 1903 ma ebbe vita breve perché non resistette alle violente scosse del terremoto del 28 dicembre 1908.

Articoli Correlati