
Il biondo di Trebisacce protagonista de “L’ingrediente perfetto”
Lo chef ha deliziato con la preparazione di un piatto di “chitarre all’arancia bionda tardiva
Una liturgia intensa e commossa quella celebrata da monsignor Santo Marcianò questa mattina a Roma, nella Basilica dei Santi Apostoli, per la Messa crismale dell’Ordinariato Militare. Un’occasione coincisa con il saluto ufficiale alla comunità castrense, alla vigilia del termine del mandato come Ordinario Militare per l’Italia, che si concluderà domani, giovedì 10 aprile.
«Canterò per sempre l’amore del Signore»: con le parole del Salmo 88, monsignor Santo Marcianò ha aperto la sua ultima omelia da arcivescovo ordinario militare per l’Italia, rivolgendosi ai confratelli sacerdoti e all’intera comunità ecclesiale e militare riunita per la celebrazione crismale.
Un saluto intenso, nel quale l’arcivescovo ha ripercorso i quasi dodici anni di episcopato vissuti tra i militari, sottolineando come l’Amore del Signore sia stato il vero protagonista di questo cammino, «che ha mosso i nostri passi» e «ci ha chiamati al sacerdozio». Monsignor Marcianò ha ripercorso tutte le tappe, sottolineando il ruolo centrale della grazia divina, che ha guidato ogni passo e vocazione. Un cammino fatto di ascolto, consolazione e presenza accanto ai cappellani e ai fedeli delle Forze armate, specialmente nei momenti più duri: le missioni, la pandemia, i lutti.
Carissimi confratelli, è con un canto che il Salmista (Salmo 88) ci fa entrare in questa Liturgia Crismale, per noi anche occasione di saluto e ringraziamento, al termine del mandato di Ordinario Militare. Per quasi dodici anni, abbiamo camminato assieme nell’amore «del» Signore.
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Sì, è Suo l’Amore che ha mosso i nostri passi; è Suo l’Amore che ci ha chiamati al Sacerdozio, di cui facciamo memoria nell’Eucaristia di oggi. Perché questo amore ci viene elargito ogni giorno, per la fedeltà di Dio: «La mia fedeltà e il mio amore saranno con lui», Egli promette; e le promesse sacerdotali da noi rinnovate altro non sono se non risposta gioiosa e stupita alla Sua fedeltà che possiamo riconoscere in ogni attimo, in ogni circostanza della nostra vita e del nostro sacerdozio.
Con Lui, dunque, oggi guardiamo assieme indietro; lo facciamo mentre, per Provvidenziale disposizione, possiamo «proclamare l’anno di grazia del Signore» (cfr. Is 61,1-3.6.8b-9). Il Giubileo, nel suo essere tempo solenne, tempo particolarmente dedicato – quasi riservato – a Dio, tempo di indulgenza e perdono, tempo di misericordia e gratitudine, è anche spazio di sosta e di memoria, che fa rivivere quanto il Signore opera in noi, con noi, con il suo popolo: è tempo per rileggere la storia, tempo per riconsegnare la storia. Perché la storia, come l’amore, è «del» Signore, è attraversata dalla Sua «grazia».
E davvero la Grazia di Dio ha attraversato la storia di questi anni! Si è riversata con abbondanza sulla nostra Chiesa Ordinariato Militare; ma se essa ha portato frutto è anche per il vostro sacerdozio che l’ha accolta; per il ministero di voi cappellani militari, la cui preziosità ho potuto conoscere sempre meglio, imparando tanto da tutti voi e crescendo con voi nel mio stesso episcopato.
Utilizzando le parole di Gesù nel Vangelo (Lc 4,16-21), mi piace pensare che questi siano stati anni in cui si è «compiuto» il nostro comune sacerdozio, che è un unico sacerdozio. Lo dico con particolare commozione in questo giorno in cui ricorre anche l’anniversario della mia Ordinazione sacerdotale. Non c’è vescovo senza presbiteri e il «compimento» è comune, perché porta, assieme alla crescita personale nel sacerdozio, una crescita della comunione.
È per questa comunione il mio primo e più grande grazie a Dio!
L’abbiamo accolta e coltivata negli incontri personali, qui a Roma o nelle vostre sedi; e i vostri volti sono per me impressi nella memoria, nella gratitudine, nella preghiera. Ho vissuto anzitutto per voi preti, portando ciascuno nel profondo del cuore e delle “viscere”. Ho ammirato con orgoglio paterno i frutti della fecondità presbiterale, sgorgati da quell’amore personale per Cristo che si fa ansia e creatività pastorale; ho pianto le vostre lacrime, affidando alla Paternità di Dio dolori e fatiche, anche quelli che la mia stessa paternità non riusciva a colmare.
E ho gioito tanto con voi, specie nei momenti belli e insostituibili di incontro tra presbiteri: i Corsi di Formazione annuali, preziosa occasione di aggiornamento, condivisione, preghiera e ristoro; gli Esercizi Spirituali, che ci hanno visto spezzare la Parola, pregando assieme e pregando gli uni per gli altri: come non ricordare, fra tutti, il cammino sui passi di Gesù con gli Esercizi in Terra Santa?
Una gioia, la nostra, che si è arricchita per il cammino compiuto dal Seminario San Giovanni XXIII. Non smetto, lo sapete, di rendere grazie a Dio per questo Suo dono e per il dono di formatori che hanno saputo custodirlo e curarlo: grazie a voi! E grazie a tutti i seminaristi che hanno fatto la comunità, molti dei quali ho avuto la grazia di ordinare sacerdoti. Il Seminario, diceva San Giovanni Paolo II, è la «pupilla degli occhi» con cui il vescovo può guardare la sua Chiesa e guardare pure al futuro; avendo vissuto il Seminario in clandestinità, egli sapeva bene quanto preziosa sia questa realtà per ogni Diocesi; tanto più lo è per la nostra, con le sue peculiarità pastorali. Continuate a puntare sul Seminario, con coraggio e fiducia nel Signore che non smette di chiamare i suoi figli; e ricordate che, se pure sembrassero sopravvenire tempi difficili sul piano vocazionale, non è un motivo per arrendersi ma per insistere e lavorare di più! Il Seminario, infatti, è culla di vocazioni e strumento di contatto con i giovani.
Nella nostra Chiesa i giovani non mancano; e dico grazie per come sono accompagnati, umanamente e spiritualmente, da voi cappellani e dalle iniziative dell’Ufficio di Pastorale giovanile, che in questi anni ha tanto lavorato, come tanto hanno lavorato gli altri Uffici di Curia, riorganizzati e collegati con le diocesi territoriali e con gli Uffici della Conferenza Episcopale Italiana. Pensando in particolare ai giovani, ne ricordo tantissimi, incontrati in udienze, celebrazioni, viaggi; i giovani che, sempre più numerosi, hanno partecipato alle Scuole di Preghiera, imparando il silenzio dell’ascolto e il linguaggio dell’Adorazione. E ricordo quanti giovani militari sono arrivati a Lourdes, nel Pellegrinaggio Militare Internazionale, stringendo la mano ai fratelli di altri Paesi e lasciandosi prendere per mano da Maria, per poter cambiare vita: con una Confessione, con un Rosario alla Grotta, con una Messa, con l’aiuto di un sacerdote… Il sacerdote è davvero presenza insostituibile. Ricordiamo la sapienza di San Giovanni Maria Vianney: «lasciate per anni una parrocchia senza prete, e vi si adoreranno le bestie».
E la grandezza del ministero sacerdotale è proclamata da Gesù, nella cui “Persona” la nostra vita di preti si offre e si consuma: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio».
Come Lui, lo Spirito ci ha consacrato; ed è lo Spirito il vero protagonista della nostra storia e della storia di questi anni. Lo Spirito che è «del» Signore, come l’Amore; lo Spirito che è l’Amore nella Trinità. Ecco perché, scrive Teilhard de Chardin: «il lusso del Sacerdote è di poter amare tutti». Tutti, tutti, tutti, grida Papa Francesco…
Lo Spirito che ci ha inviato ai nostri poveri e alle povertà della nostra Chiesa, anche quelle più nascoste, per «evangelizzare» (euanghéllo), dice letteralmente il Vangelo di Luca; cioè per portare la Parola di gioia.
Assieme a voi, ho avuto la gioia di portare ai nostri militari la Parola di Dio, balsamo e forza per la vita.
Parola che può «consolare tutti gli afflitti». E quanti afflitti, quanta afflizione in questi anni!
Abbiamo assistito, specie negli ultimi tempi, a una recrudescenza inattesa e a un progressivo diffondersi di tanti focolai di guerra, che interpellano in qualche modo anche i militari italiani. Penso soprattutto a coloro i quali sono impegnati nelle Missioni Internazionali che, in terra o in navigazione, richiedono un crescente impegno. Li ho visitati sempre quando ho potuto, specie nelle Feste; e soprattutto ho visto il modo in cui voi, cappellani, li affiancate in questa vita faticosa e rischiosa, aiutandoli a maturare nella loro vocazione di operatori di pace. Una vocazione che, in quei luoghi, cerca di puntare al dialogo, al rapporto con le popolazioni locali, al servizio umanitario, ma esige per tutti i militari una formazione adeguata, ovunque essi si trovino e qualunque ruolo ricoprano. Da sacerdoti, voi accompagnate personalmente tutti: dai militari nelle caserme agli allievi nelle Scuole; da coloro che sono impegnati nelle emergenze a quelli che svolgono compiti di alta responsabilità di guida, anche nel mondo delle Istituzioni. Siete accolti e cercati da loro e ne stimolate il servizio alla giustizia, al bene comune, alla pace, sapendo che, in ogni luogo, è un privilegio – lo è stato pure per me – portare Cristo e il Suo Vangelo, portare l’olio di consolazione che ci ha unti nell’Ordinazione e che va versato sui fratelli.
E di una grande consolazione abbiamo avuto bisogno nel tempo della pandemia. Sono passati solo cinque anni e sembrano giorni lontani, quasi irreali, ma hanno segnato il mondo e il nostro mondo militare. In quel contesto di buio, paura, morte... di impossibilità per molti di accostarsi al banchetto Eucaristico, noi sacerdoti abbiamo continuato a celebrare la Messa per il popolo, a riscoprire la forza della preghiera e della Parola di Dio, luce e nutrimento per chi ha vissuto la malattia e la morte, come pure per i militari che hanno affrontato e affiancato tante situazioni di emergenza. Emergenze ora attive in altre modalità, quali le calamità naturali o il soccorso dei migranti in mare: e quanto supporto serve quando operazioni del genere falliscono, portando nuovi lutti!
Ma la Parola di Dio promette «olio di letizia invece dell’abito da lutto».
L’ho visto, commosso, nei funerali di giovani militari in servizio celebrati in questi anni; ricordo le lacrime di mamme, padri, spose, figli, fratelli, colleghi… il “perché?”, che si leva dai loro cuori e dai nostri cuori di preti, i quali spesso possono solo condividere. Non lo dimenticate: le loro famiglie, le tante famiglie dei militari toccati dal dolore, continuano ad aver bisogno del vostro cuore; di questo cuore sacerdotale, canale di quello che il Papa, nella sua ultima Enciclica, chiama «l’amore umano e divino del Cuore di Gesù», unica vera speranza per un «mondo senza cuore».
Ecco cosa siamo noi sacerdoti: «cuori» che portano il Suo Cuore e annunciano la Sua Parola! Una Parola che ci viene «data», come fu «dato» a Gesù «il rotolo del profeta Isaia». Una Parola che si dona a noi, per essere «compiuta» nell’«oggi»: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Stiamo guardando al passato, sì, ma nella luce dell’«oggi». E il grazie è epifania del «compimento» che può avvenire sempre e solo nell’«oggi».
Così il mio grazie, carissimi, è per quanto della Parola di Dio si è compiuto e si continua a compiere nell’«oggi» della vostra vita e del vostro sacerdozio. Un ministero non sempre accolto e capito, spesso “ridotto” a prospettive che non appartengono ai cappellani militari o guardato con perplessità, quasi come l’omelia di Gesù nella sinagoga di Nazareth. Eppure, come per Lui, un ministero sul quale sono «fissi» gli occhi della gente, mendicanti di speranza.
Sì, la speranza è cercata dagli «occhi»! Da occhi che non riescono a vederla negli angusti orizzonti del mondo. È scrutata nelle nostre vite chiamate a essere sacramento e trasparenza di Cristo, speranza che «non delude»; vite chiamate ad essere sante! Questo gli occhi della gente cercano in noi: la santità. Una santità possibile, dentro le nostre fragilità. E solo la santità, se ci pensiamo bene, è vero annuncio di gioia.
Tra le gioie più grandi di questi anni, il Signore ci ha regalato proprio due doni di santità: la canonizzazione di Giovanni XXIII e la sua proclamazione a Patrono dell’Esercito Italiano, segno della predilezione della nostra Chiesa da parte di un Santo tanto vicino a tutti i militari, alla gente; il recente Decreto di venerabilità di Salvo D’Acquisto, giovane carabiniere, icona di quel dono di vita che anima tanti dei nostri militari.
Guai a non accorgersene! C’è una straordinaria santità racchiusa nella storia della Chiesa che è tra i militari, soprattutto nei cappellani militari! C’è tanta santità in voi! Cercate di crederci, di coltivarla, di crescere in essa sempre.
È il dono che porto con me e il dono che imploro per voi. È la mia preghiera per voi e vi chiedo, con tutto il cuore, che sia la vostra preghiera per me.
E la preghiera ci ha unito molto in questi anni, fortemente sorretta dall’Adorazione perpetua nelle Chiese di Santa Caterina e del Sudario a Roma e particolarmente dedicata alla pace. Grazie alle Suore che l’hanno fedelmente animata e grazie a tutte le persone consacrate della nostra Chiesa, alle diverse Associazioni che ne fanno parte, anzitutto la Croce Rossa e il PASFA; grazie ai collaboratori instancabili dell’Ordinariato Militare, a tutti i militari, dalle più alte autorità ai più giovani allievi; grazie a coloro che sono presenti a questa Eucaristia. A tutti ho voluto esprimere vicinanza inviando un messaggio di saluto e continuerò a farlo, sempre, con la mia preghiera.
Cari confratelli,
«Canterò per sempre l’amore del Signore»!
Il grazie per il cammino compiuto si fa preghiera, si fa canto. «Canta e cammina», esorta S. Agostino in un Discorso sulla Pasqua e quasi anticipa l’“Alleluia” che riassume ed esprime quanto abita il mio cuore. Il nostro cammino prosegue ora su strade diverse ma continuerà con lo stesso amore del Signore, la stessa preghiera, lo stesso canto di lode e gratitudine: «Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina […] Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina!». Grazie a tutti e buon cammino verso Cristo (cfr. Ap 1,5-8): «a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen»!
+ Santo Marcianò
Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia
Lo chef ha deliziato con la preparazione di un piatto di “chitarre all’arancia bionda tardiva
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