Avvenire di Calabria

Monsignor Morosini, arcivescovo di Reggio – Bova, ha incontrato gli universitari reggini presso la Sala Atelier della ''Mediterranea''

Morosini agli universitari: «Valori, decidete da che parte stare»

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Monsignor Morosini, arcivescovo di Reggio – Bova, ha incontrato gli universitari reggini presso la Sala Atelier della “Mediterranea”, oggi 10 aprile. Durante la cerimonia liturgica in occasione del Precetto pasquale si è rivolto a loro spiegando come «la contraddizione tra morte e vita, che tanto ci pesa e insidia la nostra speranza di vita, è sconfitta. Quel Miserere che noi pronunciamo è una invocazione di speranza, perché attraverso la nostra fede noi affrontiamo per noi stessi la vita e diventiamo operatori di speranza di vita all’interno della realtà nella quale noi viviamo».

 
Ecco l'omelia integrale dell'arcivescovo:
 
Nel Prefazio, preghiera che introduce la grande preghiera consacratoria, noi fra poco pregheremo così: Nella passione redentrice del tuo Figlio tu rinnovi l'universo e doni all'uomo il vero senso della tua gloria; nella potenza misteriosa della croce tu giudichi il mondo e fai risplendere il potere regale di Cristo crocifisso.

Come può una condanna obbrobriosa di un crocifisso rinnovare il mondo? qual è questa sua potenza misteriosa? qual è questo potere regale di Cristo?

Sono domande sempre cariche di significato esistenziale che l’uomo si pone annualmente nella Pasqua, sempre se vuole affrontare seriamente il valore della sua adesione a questa celebrazione.

Nella sequenza dell’XI secolo, Victimae pascali laudes, che nella liturgia latina viene usata nel giorno di Pasqua, si legge questa strofa che nella concisione del linguaggio liturgico, dice: Mors et vita duello conflixere mirando, dux vitae mortuus regnat vivus. E si chiude con questa frase: Tu nobis victor rex, miserere.

Nel mistero della Pasqua la contraddizione tra morte e vita, che tanto ci pesa e insidia la nostra speranza di vita, è sconfitta. Quel miserere che noi pronunciamo è una invocazione di speranza, perché attraverso la nostra fede e l’impegno di vita che scaturisce da essa, noi affrontiamo per noi stessi la vita e diventiamo operatori di speranza di vita all’interno della realtà nella quale noi viviamo.

Le varie dissoluzioni che per legge di natura viviamo, dal graduale passaggio dalla gioventù alla vecchiaia, alle malattie, a tutte le insoddisfazioni o insuccesi, ci fanno guardare alla risurrezione di Cristo come evento che apre le porte ad una condizione che toccherà tutti gli uomini. Il potere regale di Cristo crocifisso sta nell’aver accettato lui di vivere le dissoluzioni legate alla condizione umana per dare prova all’uomo di sopportazione e sostenibilità illuminati dalla speranza della risurrezione, così come è stata la sua condizione umana votata alla morte ma, illuminata dalla risurrezione al quale il Padre l’aveva destinato. Ed è nella risurrezione che Cristo diventa prototipo pieno dell’uomo e l’uomo così percepisce il senso della gloria di Dio. S. Paolo sintetizza così questa verità: mentre si dissolve il nostro corpo sulla terra, un’abitazione eterna viene preparata nei cieli.

La fede nella risurrezione dà all’uomo la  fiducia della sua vittoria contro ogni forma di dissoluzione, perché Dio vince sempre sulle opere malvage dell’uomo.  In questo senso in ogni uomo che crede si ripete il mistero di Cristo: mors et vita duello conflixere mirando. La vita vince sempre sulla morte.

Analizziamo la risposta dei giovani che Nabuccodonosor  getta nella fornace. In un impeto di delirio di onnipotenza esclama: Quale dio vi potrà liberare dalla mia mano? Egli voleva che i giovani rinnegassero la loro fede.

Quanta gente deve affrontare l’umiliazione del potere, che dimentica di essere servizio, l’impotenza di fronte all’ingiustizia praticata dai violenti con la tentazione di perdere ogni fiducia in Dio, che sembra essere muto e distratto. Spesso, pur avendo fede non sappiamo sperare sperare e attendere l’intervento di Dio, come Gesù sulla croce.

I tre giovani affermano di aver fiducia in Dio, anche se non dovesse intervenire liberandoli dalla fornace e  dovessero morire bruciati, perché sanno guardare la vita anche oltre morte e accettare ogni dissoluzione sino alla morte, come progetto imperscrutabile di Dio. Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dei e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto

Sono sicuri che Dio interverrà. Come e quando non lo sanno immaginare e prevedere, ma la certezza dell’intervento non viene meno. Sono sicuri anche se immediatamente non percepiscono la potenza di Dio, così come è avvenuto in Gesù Cristo: passi questo calice, ma il calice ma non mi rifiuto di berlo sino in fondo.

La sicurezza ce la dà l’analisi degli atteggiamenti umani di Cristo, nei quali ci possiamo identificare tutti noi. Questa sicurezza di Gesù ci insegna come la croce vince. Durante la vita diceva: io e il Padre stiamo sempre uniti ad indicare che nel cammino della sua vita e missione non si sentiva solo. Io devo bere il calice ad esprimere la consapevolezza di dover far dono della vita: Nessuno mi toglie la vita, sono io che la dono. Nel Getsemani: l’anima mia è turbata Padre passi questo calice, esprimendo così la fragilità di ogni uomo dinanzi a tutte le sofferenze. Sulla croce: Perché mi hai abbandonato, ad esprimere e portare su di sé la solitudine che vive ogni uomo che soffre. Poco prima di morire:  nelle tue mani raccomando il mio spirito ad indicare che sulla disperazione dell’uomo deve vincere sempre la fiducia in Dio. E dopo la risurrezione, sulla strada di Emmaus spiega il senso del dolore e della sofferenza dell’uomo: era necessario che Cristo patisse per stare accanto all’uomo che soffre.

Ecco tracciato il cammino di fede per il credente, che fra le difficoltà e le sconfitte della vita, le dissoluzioni varie che preludono alla dissoluzione del corpo, spera nel Signore e guarda al di là della morte. La costatazione del re è emblematica:

Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di dèi».  Nabucodònosor prese a dire: «Benedetto il Dio di Sadrac, Mesac e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui; hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio all’infuori del loro Dio.

Ecco la verità che ci fa liberi: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. È attraverso la Pasqua che Cristo ci fa liberi dalla disperazione della sofferenza e della morte: Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero

È la verità che ha sorretto i martiri lungo la storia, che ha permesso la sopportazione  paziente delle persecuzioni e violenza: la verità vi farà liberi. E la verità in assoluto è il mistero della Pasqua, che noi viviamo nelle vicende della vita quando accettiamo ogni difficoltà abbandonati con fiducia in Dio dal quale attendiamo la salvezza.

Carissimi, è così che nel nostro paese cristiano si vive la Pasqua? Ancora una volta dobbiamo piangere per il predominio del consumismo su questa festa, che è al centro della fede. Paolo scriveva: Se Cristo non fosse risorto da morte la nostra fede sarebbe vana.

Solo che questa fede è resa vuota di contenuti, che è disastroso per la vita di ogni giorno, nella quale tutti siamo vittime di dissoluzioni di ogni genere per la cecità, cattiveria, violenza delle persone.

Carissimi, voi siete gente di cultura, e siete chiamati a costruire cultura. Se la cultura degenera è perché non trova più maestri che la producono, sacerdoti che la servono. La nostra è crisi di cultura, e di cultura di valori. La cultura che vi prospetto è quella della scelta consapevole coerente della parte su cui stare.

Come vescovo cattolico, vi chiedo di contribuire a richiamare l’attenzione della società sul fatto che non si può pretendere di dirci ancora cristiani perché celebriamo riti cristiani o perché le istituzioni garantiscono una certa presenza ufficiale alle manifestazioni religiose.

Come vescovo cattolico non pretendo che si condividano i grandi principi cristiani, che si riferiscono alla vita, alla famiglia, alla sessualità, ai principi di fratellanza e di accoglienza. Ognuno scelga di schierarsi sui fronti ove crede si trovi la verità.

Ma, di grazia, smettiamola di parlare di identità cristiana dell’Italia o dell’Europa: smettiamola con i santi patroni della città e relative manifestazioni festaiole per accontentare il popolo. Abbassare il capo di fronte alle leggi che stanno distruggendo il valori cristiani (si annuncia la legge entro settembre sul suicidio assistito, come espressione di conquista di civiltà e poi pretendiamo di apparire i paladini dell’identità cristiana.

Siamo stanchi di vedere autorità civili appresso a statue di madonne e di santi e in prima fila con gonfaloni alla varie manifestazioni pro suicidio, aborto ecc.

Da Vescovo cattolico affermo dinanzi a tutti che noi non abbiamo paura di tornare ad essere Chiesa umile che non conta politicamente, ma che parla e propone, e così ripartire da zero nell’annuncio del messaggio cristiano.

A voi chiedo di promuovere questa cultura di schieramento, tirando le giuste conseguenze sociali e politiche; e di educare al coraggio delle proprie idee, senza inutili inchini al capo di turno che detta leggi.

La Pasqua che vi auguro è questa: che possiate capire il mistero pasquale di Cristo: la sua morte e risurrezione come fonte di salvezza per l’uomo.

Articoli Correlati