Avvenire di Calabria

Parla suor Carolina, da anni impegnata a Bosco Sant’Ippolito con i giovani a rischio

«Nella Locride lo Stato latita»

Federico Minniti

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Suor Carolina passa le sue giornate a Bosco Sant’Ippolito nel comune di Bovalino (Reggio Calabria). Potremmo definirla una missionaria: il suo centro giovanile “Padre Pino Puglisi” dista pochi metri dalle residenze della famiglia Pelle – Vottari, uno dei clan più potenti della ‘ndrangheta. Eppure lei cerca di combatterla, la criminalità, con la semplicità dell’accoglienza. «In certe zone la mafia, la ‘ndrangheta o la camorra non ha bisogno di manifestarsi, la percepisci nell’aria», ci dice.

Da Brancaccio a Bovalino. Cosa è cambiato in questi ventiquattro anni?
Faccio sempre una differenza tra la Sicilia e la Calabria. È triste dirlo, ma a Palermo c’è stato più coraggio di denunciare, di prendere le distanze della mafia. Un effetto– domino che poi si è riversato anche nel numero, altissimo, di collaboratori di giustizia; un dato totalmente differente rispetto alla ‘ndrangheta.

Secondo lei perché?
La mafia non si gioca nel nucleo familiare, mentre la ‘ndrangheta è aggrovigliata nelle parentele.
Ricordo quando facemmo una manifestazione qui, a Bovalino, per un uomo scomparso, vittima di lupara bianca. Di tutto il paese, siamo circa duemila persone, eravamo soltanto trenta quella sera. C’è un muro di omertà da scardinare.

Eppure lei prova a distogliere i giovani da queste logiche mafiose.
Cerchiamo di fare un cammino di legalità e per farlo chiamiamo le cose con nome, senza nasconderci. I primi tempi che siamo arrivati il termine ‘ndrangheta era impronunciabile. Eppure le dico una cosa: ad agire sulle coscienze della gente perbene non è la ‘ndrangheta.

E cosa?
Quello che incide è la cultura mafiosa, un killer silenzioso e subdolo. C’è – purtroppo – una marginalità di illegalità anche in chi non è affiliato.

Da dove deriva?
C’è un sentire comune: «Se io “frego” le Istituzioni che male c’è?» In fondo da queste parti il primo latitante è proprio lo Stato.

Perché afferma questo?
Quando non si assicurano i servizi, allora è una latitanza di Stato. Anche in questo caso mi viene in sostegno Padre Puglisi: «Non dobbiamo chiedere per favore quello che ci è dovuto come diritto», diceva. Nella Locride, è amaro constatarlo, il diritto, spesso, non esiste.

Eppure sulla Locride si sono accesi i riflettori dell’Antimafia nazionale
Onestamente seguo poco questi movimenti perché osservandoli spesso interrogo la mia coscienza e mi chiedo: cosa stanno facendo realmente?
Manifestazioni e sfilate, e poi?

In concreto negli ultimi tempi sono tantissime le indagini portate avanti da carabinieri e polizia che stanno smantellando le cosche.
Dobbiamo sempre ringraziare le forze dell’ordine che non fanno mai mancare il controllo del territorio, ma quello che è urgente – adesso – è l’esercito degli educatori. Il Terzo Settore è abbandonato a sé stesso, facciamo affidamento solo sulla Provvidenza. Lo Stato se vuole sconfiggere la ‘ndrangheta deve incoraggiare i centri educativi.

Anche se spesso sul patibolo della spendig review sale proprio il welfare.
Ma è concepibile che in questo paese, da sempre simbolo di faide tra clan, l’unico punto di aggregazione per i giovani sia il Centro “Padre Puglisi”? Per lo Stato può bastare solo questo?
E bisogna fare autocritica: anche la Chiesa si deve impegnare di più.

Cosa dovrebbe fare la Chiesa secondo lei?
Non basta essere distributori di sacramenti: mi riferisco ai padrini o alle processioni.
Dobbiamo farla finita. Queste cose non portano a nulla, se non a nascondere proprio delle realtà di malaffare.

Eppure capita che delle volte i preti finiscono picchiati proprio da quei giovani “difficili”.
Abbiamo il dovere di creare percorsi alternativi. Non si può pensare di affrontare il disagio giovanile affrontandolo “alla pari”. La Chiesa deve testimoniare di vivere la legalità e privilegiare il dialogo. Cito san Francesco di Sales: «Si prendono più mosche con cucchiaio di miele che con un barile di aceto».

Aprirsi incondizionatamente?
Macché. Io mi metto contro i ragazzi, spesso li butto fuori quando non si comportano bene. Però non è mai capitato che non sono tornati indietro.
Le persone non si combattono, ma si accolgono. Mai scendere a compromessi, però certamente cercare una collaborazione con i giovani. Abbiamo una missione importante: non possiamo e non dobbiamo perdere nessuno di loro.

Ha parlato con i suoi ragazzi dei recenti fatti di San Luca?
I ragazzi ascoltano e interagiscono positivamente, poi – però – bisogna vedere quali messaggi ricevono dalle famiglie. Personalmente ho un messaggio per i boss–latitanti.

Quale?
Come si fa a vivere da “talpa” per decine di anni? Bisogna costituirsi. Tutti possiamo commettere errori, però non dobbiamo mai barattare la nostra dignità. Consegnatevi, fatelo per i vostri figli. Tanto prima o poi vi prendono lo stesso.

Articoli Correlati