Avvenire di Calabria

In occasione della Giornata mondiale della voce, uno sguardo pedagogico sull’espressione oltre la fonazione

«Ogni voce ha potere anche senza suono»

Docente, esperta di comunicazione inclusiva e attivista per i diritti delle persone con disabilità, Mariagrazia Verbicaro ci guida in un viaggio tra linguaggi plurali, dignità comunicativa e giustizia relazionale

di Francesco Chindemi

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La voce non è solo suono. È relazione, identità, cultura. È gesto, sguardo, movimento. In occasione della Giornata mondiale della voce, la docente Mariagrazia Verbicaro, esperta di comunicazione verbale e non verbale, ci invita a riflettere sul valore profondo della comunicazione, inclusiva e plurale, che supera la fonazione e abbraccia la ricchezza dei linguaggi umani.

La voce è più di un suono: è relazione, cultura, diritto

La voce, strumento primario di comunicazione, assume molteplici forme e significati. In occasione della Giornata mondiale della voce, che si celebra oggi mercoledì 16 aprile, abbiamo scelto di indagare il valore profondo e sfaccettato della voce, intesa non solo come suono, ma come strumento di relazione, espressione e diritto. A guidarci in questa riflessione è Mariagrazia Verbicaro, docente a tempo indeterminato presso la scuola secondaria di primo grado di Mormanno (Cosenza), con una formazione da ingegnere e un percorso professionale orientato all’educazione inclusiva.



Esperta di Lingua dei Segni Italiana (LIS) e di pratiche comunicative non verbali, Verbicaro si occupa da anni di didattica per le disabilità sensoriali, affiancando l’attività accademica a un impegno concreto nella promozione dei diritti delle persone con disabilità. Con una prospettiva pedagogica interdisciplinare e una sensibilità attenta al tema dell’accessibilità, ci accompagna a riscoprire la voce come elemento fondante del diritto alla partecipazione, soprattutto per chi non può utilizzarla in modo convenzionale.

Qual è l’importanza della voce nella nostra vita quotidiana e che tipo di potere comunicativo ed espressivo esercita, anche a livello emozionale e relazionale?

La voce non è solo emissione sonora, ma esperienza di relazione, cultura, diritto alla comunicazione. La pedagogia contemporanea la riconosce come canale di contatto umano, includendo espressioni non foniche come gesti, segni, sguardi e ritmi. La Lis (Lingua italiana dei segni), riconosciuta come lingua naturale della comunità sorda, ne è un esempio. William Stokey dimostrò che le lingue segniche hanno una struttura grammaticale complessa quanto quelle orali. Educare alla consapevolezza plurale della voce significa valorizzare tutti i canali comunicativi, superando la visione fonocentrica. Pratiche artistiche come body percussion, teatro e danza possono educare a una cultura della voce inclusiva.

E per chi, dal punto di vista funzionale, la voce non ce l’ha? Come cambia la percezione di sé e degli altri?

La cultura occidentale ha storicamente privilegiato la voce articolata, ma la sua assenza non è neutra. Se non si riconoscono i linguaggi alternativi, si altera la percezione di sé e dell’altro. Oliver Sacks parlava della sordità come condizione antropologica con lingua, cultura e identità. Lane denunciava l’oralismo, negando la Lis e la cultura sorda. L’ambiente deve validare i segni linguistici, corporei e gestuali per consolidare l’identità. Vygotskij ci ricorda che la coscienza nasce dall’interazione con gli altri e con strumenti simbolici.


PER APPROFONDIRE: “Stiamo Strette”, la voce delle donne tra letteratura e identità mediterranea


La Lis rappresenta appartenenza e comunità. Come afferma Giuseppe Martini, è un archivio vivente della cultura sorda. La voce non sonora può generare relazioni autentiche. E, come insegna Loris Malaguzzi, il bambino accenta linguaggi: non c’è una gerarchia, ma un ventaglio di possibilità. La voce si reinventa nel corpo, nei segni, nel tatto, nella danza. L’inclusione comincia dal riconoscimento della voce altrui, in qualsiasi forma.

Quanto è importante la consapevolezza della voce per colmare il divario comunicativo?

Parlare di espressività o comunicabilità è un errore, frutto di una visione fonocentrica. Persone sorde e sordocieche hanno voce, ma la esprimono in modi alternativi. La società tende a ignorarle, creando disabilità comunicativa. La voce è un dispositivo relazionale che costruisce identità. Il linguaggio è gesto del corpo, presenza vissuta. La voce dell’insegnante include o esclude, trasmette fiducia o disinteresse. Massimo Baldacci parla della voce come piano simbolico che precede la trasmissione dei saperi. È strumento di legittimazione dell’altro.



La percezione di sé dipende dal riconoscimento della propria capacità di comunicare. La voce è anche un costrutto politico: alzarla significa farsi riconoscere come persona. Paulo Freire ci ricorda il legame tra oppressione e linguaggio. Il compito pedagogico oggi è decostruire l’equazione “voce uguale fonazione” ed educare alla pluralità dei linguaggi. Solo così, la voce – sonora o meno – diventa strumento di partecipazione, dignità e giustizia comunicativa.

Come le tecnologie possono aiutare chi ha difficoltà vocali?

Le tecnologie assistive abilitano modalità comunicative diverse, restituendo diritto alla parola e partecipazione. Combattono lo stigma verso chi non parla. Strumenti come Pedius, Ava, Speech to Text e SignOn abbattono barriere comunicative. Display Braille e sistemi tattili supportano le persone sordocieche; dispositivi oculari aiutano chi ha compromissioni motorie. I software di comunicazione aumentativa facilitano l’espressione. La tecnologia diventa mediatore tra desiderio e legittimità. Fondamentale la formazione di docenti e pari per promuovere una cultura della comunicazione inclusiva.

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