Avvenire di Calabria

Pubblicata una biografia dell'arcivescovo di Palermo che visse i difficili anni delle stragi di mafia

Pappalardo «cardinale dell’arte», via per promuovere l’uomo

Redazione Web

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Il 10 dicembre 2006, moriva a Palermo il cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo del capoluogo siciliano per lunghi ventisei anni (1970-1996). Di lui, in vita, si diceva e scriveva molto e in verità spesso evidenziandone aspetti marginali della sua attività pastorale. Il libro « Pappalardo cardinale dell’arte a Sagunto », scritto da Giovanni Bonanno, storico dell’Arte, appena pubblicato dalla Rizzoli \ Mondadori Electa (pagine 240, euro 34.90), è un ritratto inedito di un uomo di Dio, un pastore attento alle necessità della Chiesa e della sua gente, un vescovo «appassionatamente siciliano» che intuisce che nella sua terra, continuamente alla ribalta per la mafia e i suoi efferati delitti, la via dell’arte contemporanea «può costituire strumento di promozione umana e di evangelizzazione». «Una Chiesa locale ha tante facce, una di queste è l’arte». Occorre andare all’uomo attraverso tutti i sensi e interessi e mediante questi lanciare dei messaggi. Il bello è l’espressione più autentica di Dio che crea cose e attraverso di esse l’uomo lo loda. Qui a Palermo di cose belle ne abbiamo tante e si devono vedere. La Chiesa è stata sempre quella che ha reso fruibile ai fedeli i suoi beni».

Il cardinale Pappalardo, pur non essendo un critico, era, scrive l’autore, «un vescovo affascinato dall’intelligenza di pittori e scultori nelle cui creazioni, sovente riecheggia l’urlo di Giobbe e il canto delle Beatitudini». E arriva il tempo delle stragi. Spesso l’arcivescovo presiede le celebrazioni di quanti vengono uccisi dalla mafia: il 3 settembre 1982, l’omicidio del prefetto del capoluogo siciliano, Carlo Alberto dalla Chiesa. Nella Cattedrale di Palermo, durante l’omelia, il cardinale Pappalardo pronuncia parole forti contro la mafia e arringa la politica con le parole di Tito Livio «Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur» (mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata). Si perde tempo a discutere e intanto la Sicilia è sempre più ferita dal disinteresse di chi dovrebbe combattere per ristabilire la legalità. La via della arte, della «Bellezza che salva» è una scelta che il cardinale Salvatore Pappalardo fa aprendo il Palazzo arcivescovile, trasformandolo in museo diocesano. Ventiquattro saloni con molte opere d’arte sacra fruibile dalla gente. Il magistero dell’arte come riscossa morale, come formazione delle coscienze.

Grandi esposizioni come le Rassegne Nazionali del Sacro nell’Arte Contemporanea con artisti come De Chirico, Cagli, Matta, Pirandello, Guttuso, Fazzini, Fontana, Rouault e altri. Grande fu l’eco della stampa e la partecipazione di pubblico. Nel volume scritto con passione da Bonanno, le pagine scorrono piacevolmente perché racconta di un cardinale che coadiuvato da collaboratori competenti oltre l’aver aperto le porte del suo palazzo, intesse relazioni con gli artisti, visita i loro atelier, parla coi giornalisti, incontra scrittori, storici dell’arte e grazie a questo intenso rapporto realizza il capolavoro del primo Evangeliario moderno, che «segue, a distanza di secoli, i miniati del Trecento» nota Bonanno. Non solo: «apre nuovi orizzonti di bellezza alla Chiesa perché comprenda i linguaggi della contemporaneità e li accolga all’interno degli spazi sacri».

Pappalardo, «esemplare e anticonformista», come lo definiva il suo amico e compagno di studi, il cardinale Giovanni Canestri (arcivescovo di Genova), si muove nella scia del Concilio Vaticano II, sull’esempio di papa Montini, «vuole affermare, dentro la Chiesa e dentro la città, la bellezza unitamente con la Verità e l’Amore». Il cardinale Pappalardo per la Prima Rassegna dell’arte sacra moderna scrive: «L’arte moderna, soggettiva e psicologica, penetra come profezia e poesia la nostra anima. Essa è parte di noi specialmente quando riesce a farci vivere i valori della realtà umana». Al termine della lettura, si percepisce un senso di gratitudine e una comprensione più profonda dell’espressione «La bellezza salverà il mondo» dello scrittore russo, Fëdor Dostoevskij.

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