Avvenire di Calabria

Solo da pochissimo tempo il Consiglio d'Europa ha voluto interessarsi con un comitato specifico al fenomeno sociale

Parrocchie, luoghi dell’amicizia solidale con i nomadi

Gabriele Bentoglio *

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Chiamarli “zingari” spesso significa etichettarli in senso peggiorativo, perché questo termine è legato a stereotipi negativi e a pregiudizi che, come capita per tutti i popoli, tendono a mettere in evidenza chi ruba o commette reati di vario genere piuttosto che individuare le caratteristiche positive e i valori che formano la ricchezza di un popolo. Si tratta di tanti gruppi etnici.

Secondo stime recenti, stiamo parlando di circa 36 milioni di persone dislocate in Europa, nel continente americano e in alcuni Paesi asiatici. In Italia costituiscono lo 0,16% della popolazione. Per la Chiesa, fa parte della sua indole il fatto di essere impegnata in ciò che riguarda la vita dei suoi figli e della società in cui vivono, e quindi non rimanere estranea alle questioni socio– culturali, esercitando anche l’advocacy nel- la difesa dei diritti umani di tutti. La Chiesa, dunque, al di sopra di ogni faziosità, si mette dalla parte dei più deboli, difende coloro che soffrono e dà voce a quelli che non l’hanno, nel rispetto comunque della legalità e della sicurezza. D’altro canto certamente non tutto dipende dalla Chiesa. Negli “Orientamenti per una Pastorale degli Zingari”, che l’ex–Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha pubblicato nel 2005, si legge che per poter parlare di un’autentica accoglienza, intesa anche in termini di integrazione e di incontro di culture, è necessario un grande cambiamento di mentalità, anche in ambito civile.
 
L’accoglienza richiede appunto la considerazione dell’identità e dignità dell’altro, e il conseguente impegno per garantirgli una vita dignitosa e il rispetto dei diritti fondamentali. Nell’ultimo decennio, diverse Istituzioni nazionali e internazionali hanno elaborato un ampio materiale di studi e di proposte sulla tutela giuridica di queste popolazioni. Tra le iniziative recenti, segnaliamo che il Consiglio d’Europa ha costituito un Comitato di esperti ad hoc sui Rom, denominato Cahrom. Purtroppo, molto spesso ci lasciamo guidare da pregiudizi e preconcetti. Ecco perché è necessario uno sforzo comune per una migliore conoscenza della situazione delle comunità Rom dall’interno, della loro cultura e storia. Le scuole, i mass–media e i mediatori culturali possono svolgere un ruolo fondamentale in questo processo.
 
Occorre, infatti, partire da un’immagine positiva per sradicare stereotipi persistenti. Bisogna anche lavorare in comune accordo con i Rom, non ignorando la loro identità, il loro modo di vita, le tradizioni, la specificità del lavoro e soprattutto, la cultura. Se non c’è rispetto per la cultura delle popolazioni Rom, sarà difficile giungere a una reale integrazione e dunque, in prospettiva, anche a un accettabile grado di sicurezza sociale. Ovviamente, ci si attende che anche da parte loro vi sia impegno serio e responsabile nell’adempiere i loro doveri, nella ricerca comune della legalità, con onestà e laboriosità.
 
* responsabile dell’equipe diocesana per il catecumenato

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