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C'è più di un legame tra la Calabria e il grande architetto Paolo Portoghesi, morto ieri all'età di 92 anni. Tra le sue opere più celebri, senza dubbio, ci sono la moschea di Roma e la chiesa della Sacra Famiglia di Salerno. Ma anche la nostra regione può fregiarsi di altri "pregevoli" progetti su cui ha lavorato. L'ultimo è stato realizzato a Lamezia.
Paolo Portoghesi, uno dei più importanti architetti italiani del secondo dopoguerra, è scomparso ieri, martedì 30 maggio, all’età di 92 anni. Nato a Roma nel 1931, Portoghesi si è dedicato allo studio dello spazio per il culto come elemento centrale della sua carriera.
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Nella sua vita professionale ha approfondito con estrema cura l'architettura barocca, nutrendo una grande passione per Francesco Borromini, del quale custodiva alcuni disegni nel suo studio. Portoghesi ha approfondito soprattutto le due chiese progettate "in solitaria libertà" da Borromini: la Chiesa di San Carlo alle quattro fontane e la Chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza.
Portoghesi, però, non è stato solo un insigne studioso dell'architettura, ma anche un progettista di fama internazionale e principale esponente in Italia del Postmodernismo, si è sempre caratterizzato per non aver mai seguito le mode del momento. Forse anche per questo le sue opere architettoniche hanno lasciato un'impronta significativa. Ha progettato chiese, riconosciute come autentici capolavori, dedicato però attenzione anche all'architettura del culto islamico, con opere come la grande moschea di Roma e la moschea di Strasburgo.
Non un lavoro fine a se stesso, però. Dietro ognuna di queste realizzazioni da architetto "atipico", come si sentiva, ha promosso il dialogo tra culture diverse. Forse, anche per questo, la usa morte rappresenta una grande perdita, nonostante le sue opere possano rappresentare fonte di ispirazioni per le future generazioni di architetti.
«La Calabria è una regione che ho visitato, appena laureato, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, volendo conoscere i paesi per i quali stavo progettando delle case popolari. Avevo letto Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi e ciò che mi colpì, oltre al forte legame sentimentale con i luoghi, fu proprio l’intensità della devozione popolare che è una realtà ancora viva», così scriveva qualche anno fa su Avvenire, il grande architetto e progettista scomparso martedì 30 maggio.
Paolo Portoghesi, legato alla regione, ha lasciato la sua "firma" anche in Calabria, a cui ha donato ben due delle sue opere più belle e prestigiose. Il "nuovo" Teatro Politeama a Catanzaro, opera realizzata nel 2002 che ha contribuito al ritorno del capoluogo di Regione all'antica tradizione teatrale e alla sua "rinascita" culturale e il Complesso interparrocchiale San Benedetto di Lamezia Terme.
Proprio il Complesso "San Benedetto" è l'ultima opera in assoluto realizzata dall'architetto Portoghesi. Realizzata nel 2019 è caratterizzata da un grande spazio collettivo a esedra che collega la chiesa con il municipio secondo un’antica tradizione europea. Ed oltre a racchiudere in sé tutti gli stilemi architettonici del grande progettista, ne rappresenta anche il "messaggio" ben rappresentato dal sagrato semicircolare - su cui confluisce il Complesso - compreso tra due porticati, simboli di accoglienza e di apertura.
Potorghesi, negli anni scorsi, ha partecipato al concorso internazionale indetto dalla diocesi lametina per la realizzazione dell’attuale complesso interparrocchiale, risultando vincitore tra oltre 70 gruppi di architetti partecipanti.
Recentemente, collegandosi in videoconferenza, aveva partecipato al convegno svoltosi nella sala consiliare “Monsignor Renato Luisi” del Comune di Lamezia Terme, alla presenza del vescovo monsignor Serafino Parisi e dei rappresentanti istituzionali del Comune lametino, durante il quale è stato presentato il suo libro dal titolo “La Chiesa di San Benedetto”.
Alla vigilia della posa della prima pietra, avvenuta nel 2016, della Chiesa di San Benedetto, alla presenza del vescovo del tempo, monsignor Luigi Antonio Catanfora e dall'allora segretario generale della Cei, monsignor Galantino, così Portoghesi aveva descritto al "sua" opera: «La chiesa è caratterizzata all’esterno da due alti campanili che ne rendono riconoscibile l’immagine da lontano e da un portale a forma di libro aperto, essendo il libro l’insegna di San Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale».
«Lo spazio interno a forma di nave - spiegava ancora Portoghesi - si ispira ai principi del Concilio Vaticano e alle direttive della Conferenza episcopale italiana in quanto dà eguale importanza ai sacri segni della liturgia, l’altare e l’ambone, ed è in comunicazione visiva con il battistero e la cappella dell’Adorazione. L’aula liturgica di 950 metri quadrati è coperta da una volta di legno a nervature incrociate che evoca la rete dei pescatori, simbolo evangelico della conversione».
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Principi ispiratori del progetto, spiegava ancora il grande progettista, «sono state anche le riflessioni di Benedetto XVI sull’architettura sacra, che hanno posto l’accento sulla importanza dell’orientamento verso est, espressione del significato cosmico della liturgia, e sulla necessità di un percorso longitudinale, immagine del “popolo di Dio in cammino verso la salvezza».
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