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Comunità e ripartenza. In questi due anni più volte abbiamo sentito – e abbiamo utilizzato – la parola «ripartenza» e l’abbiamo anche accostata ai nostri percorsi parrocchiali e pastorali. Sia pure con difficoltà - e con molte battute d’arresto - siamo riusciti pian piano, soprattutto in questo ultimo anno, a riprendere alcune delle attività che le restrizioni avevano inizialmente bloccato e poi consentito con forme estremamente limitate.
Con la cessazione dello stato d’emergenza e grazie alla configurazione di una road map che ci condurrà pian piano all’eliminazione di molte delle restrizioni che hanno caratterizzato questo periodo, possiamo ora immaginare una vera e propria ripartenza.
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Possiamo immaginare una tarda primavera e soprattutto un’estate caratterizzate dalla ripresa di quelle attività che sempre hanno costituito la normalità dei nostri cammini ecclesiali. Possiamo immaginarlo, certamente.
Ma purtroppo dobbiamo fare i conti con la concreta realtà delle nostre comunità, caratterizzate da numeri che si sono molto ridotti e con uno stile con assomiglia più a quello della fruizione di un servizio che alla condivisione di un cammino.
Questo accade perché le nostre comunità non sono delle macchine delle per le quali è sufficiente girare la chiave per riavviare il motore e dare un bel colpo di acceleratore per farle ripartire come se nulla fosse successo.
Questi anni ci hanno insegnato che il senso di responsabilità collettivo e l’impegno comunitario possono affrontare e risolvere crisi anche molti grandi. Questo insegnamento allora possiamo provare ad applicarlo anche alle nostre realtà ecclesiali, iniziando a costruire percorsi accoglienti ed aperti grazie al contributo di tante persone.
Approfittando delle serate miti che presto si sostituiranno al freddo pungente di questi giorni, potremmo spostare il centro delle nostre attività nei cortili e nelle piazze delle nostre parrocchie, trasformandole in luogo di condivisione; non tanto di cose da fare, ma in spazi liberi nei quali ciascuno potrà portare suggerimenti, indicare priorità, proporre idee per rinnovare il territorio. Spazi che quanti (laici, sacerdoti e religiosi) oggi sono chiamati a vivere la dimensione strutturata della corresponsabilità dovranno abitare con intelligenza e fantasia. Facendo si che in questi luoghi ciascuno possa sentirsi a casa. Possa respirare il profumo anche di quella spiritualità semplice che viene dalla comunione e dalla condivisione.
Luoghi nei quali potersi fermare per riassaporare la dimensione della quotidianità; magari guardando i figli o i nipoti dare quattro calci ad un pallone o giocare a nascondino. Mettendo da parte per qualche ora tutte quelle appendici elettroniche ormai ci accompagnano per gran parte delle nostre giornate.
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Si tratta dunque di dare forma alla dimensione sinodale che stiamo imparando a conoscere in questi giorni. Senza imbrigliare il tempo a disposizione in un susseguirsi di iniziative e di impegni; ma spendendoci in pastorale caratterizzata dalla circolarità dei rapporti e dalla cura premurosa delle relazioni.
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