Avvenire di Calabria

Il messaggio della Conferenza episcopale italiana in vista della festa del lavoro 2022

Primo maggio, i vescovi: «Troppi morti sul lavoro, adesso basta»

L'analisi sulla realtà presente: «Non possono essere dimenticati i disoccupati e coloro che sono arrivati al punto di togliersi la vita»

di Redazione Web

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«La Chiesa che è in Italia non può distogliere lo sguardo dai contesti di elevato rischio per la salute e per la stessa vita alle quali sono esposti tanti lavoratori. I tanti, troppi, morti sul lavoro ce lo ricordano ogni giorno. È in discussione il valore dell’umano, l’unico capitale che sia vera ricchezza». È l’appello contenuto nel Messaggio della Cei per il primo maggio, in cui si parte dall’analisi del momento presente.

Primo maggio, il messaggio dei vescovi italiani

«Viviamo una stagione complessa, segnata ancora dagli effetti della pandemia e dalla guerra in Ucraina, in cui il lavoro continua a preoccupare la società civile e le famiglie, e impegna ad un discernimento che si traduca in proposte di solidarietà e di tutela delle situazioni di maggiore precarietà. Le conseguenze della crisi economica gravano sulle spalle dei giovani, delle donne, dei disoccupati, dei precari, in un contesto in cui alle difficoltà strutturali si aggiunge un peggioramento della qualità del lavoro. La Chiesa che è in Italia non può distogliere lo sguardo dai contesti di elevato rischio per la salute e per la stessa vita alle quali sono esposti tanti lavoratori».


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«I tanti, troppi, morti sul lavoro ce lo ricordano ogni giorno. È in discussione il valore dell’umano, l’unico capitale che sia vera ricchezza».

I vescovi citano le parole di papa Francesco, pronunciate in occasione dell’udienza con l’Associazione nazionale dei costruttori edili del 20 maggio scorso: «La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore».

Il primo pensiero è per chi ha perso la vita sul posto di lavoro

«Il nostro primo pensiero – continuano i vescovi italiani - va, in particolare, a chi ha perso la vita nel compimento di una professione che costituiva il suo impegno quotidiano, l’espressione della sua dignità e della sua creatività, e anche alle famiglie che non hanno visto far ritorno a casa chi, con il proprio lavoro, le sosteneva amorevolmente. Così come non possono essere dimenticati tutti coloro che sono rimasti all’improvviso disoccupati e, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. La nostra preghiera, la fiducia nel Signore amante della vita e la nostra solidarietà siano il segno di una comunità che sa «piangere con chi piange» (cf Rm, 8,15) e di una società che sa prendersi cura di chi, all’improvviso, è stato privato di affetti e di sicurezza economica».

Le contraddizioni del momento presente

«Un Paese che cerca di risalire positivamente la china della crisi non può fondare la propria crescita economica sul quotidiano sacrificio di vite umane», prosegue il messaggio dei vescovi italiani per il primo maggio.

Nel suo messaggio per il primo maggio, la Cei ricorda anche il «drammatico scenario che abbiamo davanti». Basta guardare ai numeri: nel 2021 sono stati 1.221 i morti (dati Inail), cui si aggiungono quelli “ignoti” perché avvenuti nelle pieghe del lavoro in nero, un ambito sommerso in cui si moltiplicano inaccettabili tragedie. «Siamo di fronte a un moderno idolo che continua a pretendere un intollerabile tributo di lacrime. Tra i settori più colpiti ci sono l’industria, i servizi, l’edilizia e l’agricoltura. Ogni evento che si verifica – per i vescovi italiani - è una sconfitta per la società nel suo complesso, ogni incidente mortale segna una lacerazione profonda sia in chi ne subisce gli effetti diretti, come la famiglia e i colleghi di lavoro, sia nell’opinione pubblica».

Non ci sono solo le morti. «Gli infortuni di diverse gravità esigono – a giudizio della Conferenza episcopale italiana – un’attenzione adeguata, così come le malattie professionali domandano tutela della salute e sicurezza. Ci sono interventi urgenti da attuare, agendo su vari fronti. La nostra coscienza è interpellata anche da quanti sono impegnati in lavori irregolari o svolti in condizioni non dignitose, a causa di sfruttamento, discriminazioni, caporalato, mancati diritti, ineguaglianze. Il grido di questi nuovi poveri sale da un ampio scenario di umanità dove sussiste una violenza di natura economica, psicologica e fisica in cui le vittime sono soprattutto gli immigrati, lavoratori invisibili e privi di tutele, e le donne, ostaggi di un sistema che disincentiva la maternità e “punisce” la gravidanza col licenziamento».

Lavoro femminile, per i vescovi «va ancora tutelato»

Il messaggio dei vescovi per il primo maggio pone l’accento anche sulla condizione femminile nei posti di lavoro. «È ancora insufficiente e inadeguata la promozione della donna nell’ambito professionale. A questa attenzione ci sollecita anche la figura di Armida Barelli, beatificata il 30 aprile a Milano: promosse numerose iniziative per la valorizzazione della donna. In tutte queste situazioni non solo il lavoro non è libero, né creativo, partecipativo e solidale (cfr Evangelii gaudium 192), ma la persona vive nel costante rischio di vedere minata irrimediabilmente la sua salute e messa in pericolo la sua stessa esistenza».

Anche il mercato del lavoro presenta falle consistenti che sono tra le cause delle cosiddette «morti bianche». «La crescente precarizzazione costringe – si legge ancora nel messaggio Cei – molti lavoratori a cambiare spesso mansione, contesto lavorativo e procedure, esponendoli a maggiori rischi. Spesso, inoltre, le mansioni più pericolose sono affidate a cooperative di servizi, con personale mal retribuito, poco formato, assunto con contratti di breve durata, costretto ad operare con ritmi e carichi di lavoro inadeguati, in una combinazione rovinosa che potenzia il rischio di errori fatali».

Responsabilità condivise per una cura della salute del lavoratore

«Quali beni sono in gioco in queste situazioni?» si domandano i vescovi. «Innanzitutto, il valore soggettivo e personale del lavoro, quello che è definito “capitale umano”, vale a dire “gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto membri di una organizzazione” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 276)».

Ma anche la complementarietà tra «lavoro e capitale, che supera una antica antinomia attraverso sistemi economici dal «volto umano», così che la principale risorsa rimanga l’uomo stesso. È in gioco anche il bene della pace, perché quando ci sono le condizioni di un lavoro sicuro e dignitoso, si pongono le basi per evitare ogni forma di conflittualità sociale (come afferma Francesco nel suo Messaggio per la LV Giornata mondiale della pace)».

Da questi valori imprescindibili, a giudizio della Conferenza episcopale italiana, «scaturisce una cultura della cura, nutrita dalla Parola di Dio, che invita ad aprire il nostro cuore a chi nel lavoro vede messa a rischio la dignità e la propria vita. Come non richiamare alla memoria la sofferenza del popolo d’Israele schiavo in Egitto, costretto a fabbricare mattoni in quantità sempre maggiori e in minore tempo (cf Es 1,13-14a)? L’impietosa scelta che subordina le persone alla logica dei numeri è presente anche nella lettera di Giacomo, che ricorda come le proteste dei mietitori giungono agli orecchi del Signore onnipotente (cf Gc 5,4)».

Il riferimento sono le parole del Papa: «Tutelare i più deboli»

Sono ancora le parole di papa Francesco ad essere prese come riferimento nel messaggio dei vescovi per il primo maggio. Il Santo Padre, affermano,  indica un preciso compito educativo e di tutela dei più deboli nel mondo del lavoro, che impegna la società civile e la comunità cristiana: «Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità» (Udienza, 12 gennaio 2022).

Ed ecco che «la complessità delle cause e degli eventi richiede un approccio «integrale» da parte di tutti i soggetti in campo: vanno realizzati interventi di sistema sia a carattere statale, sia a livello aziendale. È fondamentale investire sulla ricerca e sulle nuove tecnologie, sulla formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma anche inserire nei programmi scolastici e di formazione professionale la disciplina relativa alla salute e alla sicurezza nel lavoro».

Tutela dei lavoratori, lo Stato garantisca

È importante, suggerisce la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace  che lo Stato metta in atto controlli più attenti. Controlli che «diventino uno stimolo alla prevenzione degli infortuni. Un ruolo decisivo nella tutela della sicurezza del lavoratore e delle sue condizioni di salute è assicurato dalle modalità di organizzazione dell’impresa sia sotto il profilo dell’adozione delle misure protettive sia della vigilanza affinché esse siano rispettate».

Rispetto a ciò, l’appello di Papa Francesco agli imprenditori risuona quanto mai appropriato. I vescovi lo fanno proprio nel loro messaggio per il primo maggio: «Voi avete una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti; siete perciò chiamati ad essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo “umanesimo del lavoro”. Siete chiamati a tutelare la professionalità, e al tempo stesso a prestare attenzione alle condizioni in cui il lavoro si attua, perché non abbiano a verificarsi incidenti e situazioni di disagio» (Discorso agli imprenditori riuniti in Confindustria, 27 febbraio 2016)».

I vescovi a sostegno dell'opera dei sindacati

«I sindacati, nella loro continua ricerca della giustizia sociale, vigilano costantemente sulle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro: incoraggiamo il loro impegno a tutela soprattutto delle professioni che risultano più logoranti per la salute o maggiormente esposte a rischio. Sulla scia di quanto la Chiesa che è in Italia ha fatto in occasione della Settimana Sociale di Taranto (ottobre 2021) è importante incoraggiare la condivisione di “buone pratiche” che in ambito imprenditoriale e amministrativo mostrino come coniugare non solo difesa dell’ambiente e protezione del lavoro, ma anche dignità e sicurezza, evitando dunque condizioni che mettono in pericolo la salute o addirittura causano la morte».


PER APPROFONDIRE: Lavoro giovanile. La Chiesa reggina avvia un partenariato con aziende ed enti del territorio


I vescovi concludono così il loro messaggio per il primo maggio: «Solo se ogni attore della prevenzione, a diverso titolo – a partire dalle istituzioni e dalle parti sociali – contribuisce al contrasto degli eventi infortunistici, si avrà una vera svolta. Per questo è necessario risvegliare le coscienze. Grazie a un’assunzione di responsabilità collettiva si può attuare quel cambiamento capace di riportare al centro del lavoro la persona, in ogni contesto produttivo».

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