Calabria, le imprese puntano sul rilancio delle infrastrutture
Il presidente di Unioncamere Tramontana: «Le priorità di intervento sono su 106, alta velocità, accessibilità aeroportuale, sviluppo del Porto di Gioia Tauro»
È un settore che attende di essere regolamentato definitivamente da circa trent’anni. Da quando, cioè, la legge Basaglia ha finalmente imposto la chiusura dei manicomi, sostituiti dalla strutture residenziali psichiatriche che avrebbero dovuto contribuire alla rivoluzione nel campo della salute mentale. La realtà a Reggio Calabria, però, oggi appare ben diversa. Vi proponiamo la testimonianza degli operatori del Terzo Settore impegnati in trincea e dei familiari dei pazienti, alle prese con molteplici disagi.
🎧 Ascolta il podcast 👇
Un servizio fondamentale che, nonostante si regga su un sistema misto pubblico-privato, non ha ancora ottenuto l’accreditamento sperato. Come funziona e cosa succede all’interno della rete della psichiatria reggina? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Foti, uno dei tanti operatori delle coop cui è affidato il servizio di residenzialità psichiatrica nel comprensorio dell’Asp reggina.
Le strutture residenziali a Reggio Calabria e provincia sono attualmente nove e si occupano di dare risposte concrete a circa 150 persone con disagio psichiatrico, attualmente ricoverate. Il territorio, va detto, comprende una popolazione con disagio psichiatrico molto più numerosa che con il blocco dei ricoveri viene destinata in altre regioni con un dispendio maggiore di risorse per l’Asp di Reggio Calabria e creando al paziente e alle famiglie notevoli disagi.
Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE
La rete dei servizi è a rischio concreto di implodere per mancanza di fondi e perché le risposte che la politica deve dare sono incoerenti con i bisogni dei pazienti e del territorio e si basano tutte su parole e mai su fatti concreti. Questo è l’effetto della situazione attuale che dura da oltre trent’anni.
Gli operatori, posso dire senza paura di smentite, garantiscono tutto ciò che concerne i bisogni dei pazienti, facendosi carico del servizio e il tutto con la totale assenza della parte sanitaria che in alcuni casi si rende presente solo per far leva sul cosiddetto “potere-sapere”, utilitaristico, opportunistico e che istituzionalizza operatori e pazienti (ovviamente ci sono delle rare eccezioni). Garantire ai pazienti un supporto umano è spingersi oltre la malattia, è ricercare la persona che si ritrova sospesa in una esistenza mancata e relegata ai margini da una società che li respinge. In questi anni, tutti noi, abbiamo cercato di rendere “l’impossibile…possibile”, e vi assicuro che abbiamo avuto notevoli difficoltà anche economiche che però non ci hanno mai fatto demordere o rinunciare. I trent’anni trascorsi e le continue lotte per i diritti ne sono la prova.
Ritengo che la situazione psichiatrica, sia calabrese che nazionale, non sia molto diversa perché la mancanza di fondi e di risorse è presente in tanti territori dello Stivale. La politica si occupa di disagio mentale, poco e male, se non per questioni elettorali. Le promesse fatte in questi anni sono state tante e mai mantenute, per questo ci ritroviamo in un limbo dal quale non si riesce ad uscire e che pregiudica non solo la qualità dei servizi, ma anche la salute mentale di molti operatori che sono giunti ad una condizione di stress che definirei, volendo essere ironico, da ricovero in struttura.
Noi siamo convinti che l’accreditamento sia, da parte delle istituzioni, un atto dovuto e che migliorerebbe l’efficacia dei servizi. Il connubio definito “misto”, pubblico-privato, in sostanza e nei fatti non c’è mai stato perché il pubblico è stato in sostanza, mi ripeto, assente ed evanescente. Tale definizione è sostanzialmente burocratica e legalizza la nostra presenza, anche se qualcuno lo dimentica definendoci ancora “abusivi e illegali”, pur sfruttando la nostra presenza in ogni occasione scomoda. In conclusione (ma ci sarebbe tanto da dire), voglio sottolineare che noi operatori stiamo dimostrando che si può assistere la persona così detta “folle” in altro modo e che non molleremo fin quando le istituzioni regionali non ci daranno il dovuto accreditamento e riconoscimento.
Un’esperienza con il mondo della psichiatria vissuta da vicino fin dalla tenera età. Da nipote di un paziente a cui, ai tempi giovane, era stata diagnosticata una schizofrenia. La testimonianza di Carmen Lucisano arriva dal profondo di un vissuto che ne ha condizionato la famiglia. Mai perdendo, però, la dimensione umana e affettiva, fondamentale alla base di ogni relazione.
Mia madre, ancora giovane e nubile, ha vissuto in prima persona il dramma di chi ad un certo punto si ritrova come se la vita gli avesse restituito un familiare sconosciuto. Di chi deve fare i conti con infinite trafile alla ricerca di una spiegazione, di una cura, di un aiuto, Ma anche con la paura di una diagnosi, la schizofrenia, il cui nome, ai tempi, rimandava alla “follia” trattata nei manicomi, ancora visti – prima della Basaglia - come luoghi di segregazione. La mia famiglia per mio zio è stata sempre un punto di riferimento sul piano affettivo e relazionale, anche dopo la morte dei miei nonni.
Mio zio, fin da subito, si è inserito nel migliore dei modi in un contesto nel quale poteva essere curato e attenzionato dal punto di vista farmacologico, educativo e sociale senza perdere il contatto con noi familiari il cui contributo è stato e lo è ancora oggi prezioso per assolvere a tante sue altre esigenze e per rispondere al bisogno di sentirsi parte integrante di un sistema familiare.
A distanza di anni dalla legge Basaglia sorge quasi spontaneo chiedersi passi avanti siano stati fatti se, ad oggi, il sistema, ancor peggio di ieri, non riesce a rispondere ai bisogni delle famiglie di pazienti psichiatrici. È assurdo che il sistema si possa sostenere solo grazie a tanta passione e spirito di abnegazione degli operatori di struttura i quali, spesso, si ritrovano sfiniti e amareggiati per diritti negati e promesse affrante.
È una situazione che ha generato, purtroppo, una marea di disagi. Il familiare di un conoscente in preda a sintomi di “burnout” mi ha detto della difficoltà di ricovero a Reggio Calabria. L’unica possibilità è andare fuori. Alternativa che non diventa soluzione per chi non possiede delle risorse economiche e per il disabile che vive nella tremenda paura di perdere tutte le memorie intrise di affetti, profumi, legami, subendo questa scelta quasi come una punizione per il suo stato.
In quanto famiglia cerchiamo, dove è possibile, di sopperire alle attuali carenze. Ma nel caso di persone dietro cui non c’è tale supporto, il rischio è che le già drammatiche sofferenze legate alla sua condizione, vengano rese ancor più pesanti dalla leggerezza e dall’indifferenza vissuti dalla società nei confronti delle malattie psichiche.
Per rafforzare l’attuale rete è importante puntare sulla formazione perché sono certa che tutti sentono parlare di patologie come delirio, schizofrenia e tante altre ancora, ma nessuno realmente sa cosa sono e come si presentano.
PER APPROFONDIRE: Psichiatria a Reggio Calabria, è stato d’agitazione
Se ad oggi il grido d’aiuto proviene per la maggior parte da chi è colpito in prima persona da questa esperienza di sofferenza, è perché il resto può solo immaginare, ma mai riuscire realmente a capire quanto difficile possa essere gestire un malato psichiatrico in un sistema che lascia completamenti da soli.
Il presidente di Unioncamere Tramontana: «Le priorità di intervento sono su 106, alta velocità, accessibilità aeroportuale, sviluppo del Porto di Gioia Tauro»
I servizi di prossimità non vanno in vacanza, si rinnova l’impegno per gli ultimi del territorio. Ecco dove poveri e indigenti potranno trovare insieme a un pasto caldo anche un sorriso.
Il confronto presso il Centro del Laicato di Gioia Tauro. Nel corso dell’incontro anche una riflessione sull’autonomia differenziata alla luce del recente documento della Cec.