Avvenire di Calabria

Quale welfare per la famiglia?

Giovani e genitorialità

Andrea Casavecchia

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Il basso tasso di natalità è uno dei punti nevralgici più gravi per l’Italia. Contiamo sempre meno bambini nelle nostre comunità. Una delle cause si origina dalle condizioni sociali, che spesso creano svantaggi per quelli che diventano genitori, tanto che diventa un caso da prima pagina l’assunzione di una donna incinta al nono mese di gravidanza. Nei colloqui di lavoro, generalmente si respinge una candidatura quando si suppone che una donna sia nelle condizioni di generare un figlio. Siamo in presenza di un contesto scarso di prospettive, ma non possiamo nasconderlo. Anzi è bene evidenziarlo.
Le contraddizioni emergono dall’analisi della realtà. Il rapporto sui giovani dell’Istituto Toniolo ha messo in luce che le nuove generazioni aspirano a diventare genitori, ritengono però distante il loro ideale dalla realtà in cui vivono. Se infatti l’80% di loro dichiara che desidererebbe una famiglia con almeno due figli, la percentuale scende al 60% quando si passa dal desiderio alla concretezza, ovvero quando è stato chiesto loro quanti bambini prevedono di riuscire a generare nell’attuale contesto storico-sociale. Le prospettive diventano ancora meno aperte verso la natalità se si stringono i tempi: solo il 30% delle donne intervistate prevede di avere un figlio entro i prossimi due anni.
Il rapporto evidenzia inoltre che ci sono due fattori personali che intervengono nelle scelte. Da un lato c’è l’occupazione: i giovani che hanno un lavoro sono più aperti alla generatività. Dall’altro lato c’è il titolo di studio. Quando si è in presenza di un livello di istruzione più elevato, infatti, si tende a posticipare la decisione per dedicarsi precedentemente alla vita professionale.
In sintesi, sono la presenza o l’assenza di lavoro e la ricerca di averne uno soddisfacente a diventare elementi importanti che gravano sulla decisione di diventare mamma e papà. Un tema centrale è quindi la capacità di creare le condizioni per conciliare dimensioni diverse della vita, in particolare le questioni vita-lavoro. Molto probabilmente il modo migliore per affrontarle inizia dal trovare soluzioni sul territorio, più che a livello nazionale. A partire dal livello territoriale, le pratiche di welfare aziendale meritano particolare attenzione perché aiutano a gestire i livelli produttivi all’interno di un rapporto di qualità della vita per le persone. Distribuzione e flessibilità degli orari di lavoro oppure attivazione di servizi specifici – che vanno dal babysitting alle attività sportive per i figli dei dipendenti, alle assicurazioni per le visite mediche aperte ai familiari – possono creare condizioni nuove per i giovani, andando incontro alle loro aspettative di genitorialità. In questo campo potrebbero avere un ruolo specifico anche le associazioni sindacali che hanno una presenza trasversale sul territorio rispetto alle imprese, specialmente quelle medio piccole. I sindacati potrebbero creare reti di servizi per le esigenze di lavoratori appartenenti ad aziende differenti, ma interessati da questioni simili.

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