Avvenire di Calabria

Il ricordo di padre Reghellin a quarant’anni dalla morte

Quel gesuita antesignano della Chiesa «in uscita»

Giuseppe Licordari

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

«Se siamo qui dopo quarant’anni vuol dire che padre Guido ha lasciato nella nostra vita qualcosa di importante, di significativo, perché l’affetto che lo circonda è ancora vivo». Così esordisce padre Vincenzo Toscano, superiore della comunità dei gesuiti, la sera del 20 gennaio nella chiesa degli Ottimati, dove padre Reghellin, salito in cielo quarant’anni fa, ha operato negli anni Sessanta e Settanta. Egli non trasmetteva soltanto la fede, ma trasmetteva affetto unito alla cultura; la sua vicinanza era marcata con i malati, con i poveri, con gli ultimi, come gli ospiti dell’ospedale psichiatrico. «Possiamo considerarlo antesignano di papa Francesco», perché il suo raggio apostolico non era circoscritto al suo ambito, ma era sempre in uscita, andando oltre per essere «uomo per agli altri». Pur confessando la difficoltà di prendere parte a momenti di commemorazione, padre Carlo Greco, già preside della Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, prende la parola e dice subito che a padre Guido «deve fondamentalmente la scoperta e la realizzazione della sua vocazione: siamo qui riuniti a dire grazie al Signore per una persona che ci ha aiutato molto, per una persona che ha lavorato molto per questa città, per questa Chiesa come formatore e padre spirituale». Una persona di sorprendente qualità, una persona che vede prima degli altri e che sa leggere i segni dei tempi. E riprendendo una frase di papa Francesco, sottolinea che «un buon prete è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa». Come uomo padre Reghellin era umanamente affascinante, dalla forte personalità e dalla grande sensibilità umana, capace di dialogo e di relazione con qualunque persona incontrasse: «Tutti i giovani di allora – continua padre Carlo – ricordiamo le sue omelie, che attualizzavano in modo efficace il messaggio della liturgia per la vita delle persone, spesso interagendo con i presenti; e in particolare, la sua predicazione del “mese di maggio”, anche da noi giovani tanto seguita, così lontana da ogni forma di devozionismo bigotto ». Un uomo che non si risparmiava mai, che era sempre attento ad aiutare le anime, occupandosi di ogni tipo di problema. «Predicando gli esercizi spirituali nel 1970 quasi inconsciamente pensando al suo futuro, aveva avuto occasione di dire: “Quale sarà il mio futuro? Mi affido alla Provvidenza che regge il mondo”». L’emozione ha il suo culmine alle parole conclusive di padre Carlo: «La morte del padre Reghellin è stato come la sua vita un atto di abbandono fiducioso nella braccia di Dio Padre».

Articoli Correlati