Avvenire di Calabria

Irrobustire sempre di più le politiche sociali di alcuni territori rispetto ad un Sud che fatica a garantire i livelli minimi di assistenza?

Regionalismo, a pagare le conseguenze sarebbero ancora i poveri

Antonino Pangallo

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La Pira in un saggio del 1950 dal titolo “Povertà in attesa”, affermava il primato della persona sulle dinamiche politiche, economiche e sociali. Rivolgendosi al Governo del tempo, riguardo alla miseria delle popolazioni concludeva sottolineando il valore del cristianesimo e dei principi etici presenti nella Costituzione italiana. Dopo circa 60 anni la situazione non è migliorata granché.

Le proposte di attuazione del federalismo fiscale proposto da alcune regioni si colloca nel contesto di una sempre maggiore flessibilità dello Stato nei confronti dei territori. Ci si chiede, tuttavia, come in un contesto di welfare così vulnerabile come quello meridionale sia possibile garantire i cosiddetti Livelli essenziali di prestazioni. Sembra che il rischio sia irrobustire sempre di più le politiche sociali di alcuni territori rispetto ad un Sud che fatica a garantire i livelli minimi di assistenza.

I dati nazionali, diffusi dall’Istat il 3 gennaio 2019 (relativi all’anno 2016), segnalano che le spese dei Comuni italiani per i servizi sociali ammontano in media a 116 Euro pro capite, ma a livello territoriale permangono disparità elevate: infatti si passa dai 22 Euro pro capite della Calabria ai 517 Euro della Provincia Autonoma di Bolzano. La nostra risulta la regione più disinteressata di tutte, lasciando senza tutela tanti bisogni e diritti sociali, senza garantire i quali in Calabria non si apre la strada ai diritti civili né ai diritti politici.

In definitiva, è necessario che la Calabria si organizzi alla pari degli altri territori italiani con i servizi sociali, sociosanitari e socioeducativi, per non parlare di affrancare il mondo della sanità ancora commissariata a livello regionale. Ma tutto questo sarà possibile se diminuiranno le risorse in favore di regioni già “forti” sul piano del welfare?

Si è chiamati a cogliere la nuova opportunità che ci viene offerta, quella di rendere la differenza non un ostacolo, ma una via attraverso la quale intravedere percorsi comuni non per la salvezza di pochi, ma per il benessere della comunità intera dando risposte concrete perché i poveri attendono dignità, libertà e la vita che spetta loro. Ma la richiesta delle regioni settentrionali va in questa direzione? Inoltre, la regione Calabria sarà capace di uscire dal guado?

La nota della Conferenza episcopale calabra sulle politiche sociali in Calabria nell’anno 2012, ha messo in evidenza da una parte «la fragilità del nostro sistema assistenziale alle persone e alle comunità», e dall’altra il sollecito alla «Regione Calabria a recepire celermente e interamente la legislazione sociale italiana e europea per dare compiutezza alle sue stesse leggi sociali», in modo tale da passare da una azione assistenzialistica – finora adottata – a un intervento di accompagnamento con strumenti efficaci per contrastare la reale povertà presente attraverso un sistema welfare e servizi dedicati.

Da un’analisi del contesto regionale la povertà calabrese non sembra dare cenni significativi di riduzione, anzi, rispetto al dato nazionale essa risulta come fanalino di coda con il 35,6% rispetto alla media nazionale al 12,9%, e con una stima di circa 250.000 nuclei familiari che riversano in condizioni di disagio sociale o di rischio povertà. Un altro numero importante è dato dalle 772.444 persone che nel 2017 vivono al di sotto della soglia di povertà.

In ragione dei tanti bisogni sociali, sociosanitari e educativi, rimane importante che le nostre Chiese locali continuino a operare scelte e progetti di carità, specialmente in questo frangente storico di allentamento regionale e nazionale riguardo ai bisogni e ai diritti delle persone, molte delle quali non hanno bisogno esclusivamente di denaro ma anche di accoglienza e accompagnamento, di interventi e servizi sociali adeguati e certi, per raggiungere autonomia e potere di esercitare a loro volta i propri diritti e doveri di cittadinanza.

Se è giusto garantire maggiore autonomia ai territori attuando un equo federalismo, ci si chiede come poter attuare riforme del welfare che non creino ulteriore distanza nelle risposte ai bisogni della persona nelle regioni meridionali. I poveri saranno sempre più poveri o maturerà l’intero paese?

* Delegato Caritas Calabria

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