Presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Reggio Calabria, si è tenuto il webinar dal titolo Sub tutela dei. La vita donata del giudice Beato Rosario Angelo Livatino. L’iniziativa è ricorsa nella giornata del 101° anniversario della nascita di San Giovanni Paolo II ed è stata arricchita dalle presenze di Padre Giuseppe Fiorini Morosini, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Reggio Calabria, di padre Pasquale Triulcio, direttore dell’ISSR, del professore Attilio Gorassini, del primo Postulatore della causa del beato, don Giuseppe Livatino, del Preside della Facoltà Pontificia Seraphicum, Padre Raffaele di Muro, di Giovanni Capobianco, vicepresidente della Milizia dell'immacolata della Sicilia.
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Ad aprire il dibattito è stata Lucia Lipari, che ha richiamato l’attenzione sul raffronto tra il beato Rosario Livatino e San Massimiliano Maria Kolbe, sottolineando la visione profetica che li univa, la specialità del loro mandato, svolto esclusivamente sub tutela Dei, sotto la tutela e lo sguardo di Dio.
STD era, infatti, la sigla apposta sulla tesi di laurea del Giudice Livatino e motto della sua intera esistenza. La inseriva, magari sovrastata da un segno di Croce, in pagine speciali dei suoi scritti e nelle sue agendine, ponendosi così sub tutela divinae protectionis. Intenso il contributo del Vescovo Morosini e la preghiera di intercessione di Padre Pasquale Triulcio, affinché:«Sull’esempio del piccolo giudice, ogni cristiano impari a vivere incarnando lo spirito delle beatitudini…».
Presa quindi la parola il professore Gorassini, ha delineato un ritratto di Rosario Livatino, animato da Vangelo e Costituzione, avversario delle mafie e modello per i più giovani, dunque un soggetto scomodo, da eliminare. Un uomo che era solito andare a pregare nelle vicina chiesa di San Giuseppe, prima di entrare in tribunale, e che sul comodino, così come sulla scrivania, teneva la Bibbia e il Rosario accanto ai Codici. Un binomio indissolubile per lui quello tra diritto e misericordia, tra Fede e Giustizia, tanto da scriverle in lettera maiuscola. Giovanni Capobianco, invece, ha incentrato la propria riflessione sul legame tra le figure di San Giovanni Paolo II, San Massimiliano Maria Kolbe e il Beato Rosario Angelo Livatino, trovando la sintesi perfetta della loro missione nell’acronimo A.C.C., amore, coraggio e coerenza. Uomini determinati, il cui segreto è stato rimanere saldi nell’amore di Cristo. Capobianco ha riportato inoltre la Testimonianza di Don Filippo Barbera, suo Arciprete di Ravanusa (AG): «La mattina del 21 settembre mi stavo recando ad Agrigento, perché convocato, dal Vescovo S. E. Mons. Carmelo Ferraro, da giovane sacerdote, da un anno ordinato, avevo 26 anni, non volevo arrivare in ritardo, ma prima di arrivare ad Agrigento vedo una lunga colonna di auto ferme, penso che era per un incidente, mi avevano insegnato in seminario che dovevamo sempre dare soccorso, scendo dalla macchina, prendo gli oli santi e vado verso il luogo, chiedo ad un agente cosa fosse successo e mi dice dell’agguato, aggiungo che se non fosse passata mezz’ora avrei dato l’unzione degli infermi, prima della morte biologica, oppure l’assoluzione. L’agente mi invitò a dare l’assoluzione, perché il magistrato non mi avesse fatto passare, mi raccolsi in preghiera e diedi l’assoluzione “Sub conditione”: se sei vivo ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre.... Vidi da lontano il corpo coperto da un lenzuolo bianco, la cosa mi segnò parecchio, sapendo che si trattava del Giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia».
Centrale tra gli interventi, quello di Don Giuseppe Livatino, che ha tracciato, altresì, un profilo sensibile e generoso del giudice Livatino, un uomo che non si risparmiava, anzi, che andava, in gran silenzio, dal procuratore capo a dire: «Dottore, quel fascicolo, con quei nomi, non lo dia ai miei colleghi che sono sposati e hanno figli». Nomi e situazioni pericolose, che nonostante tutto lo portavano a muoversi senza scorta con la sua utilitaria, una piccola Ford Fiesta color amaranto, riconoscibile da lontano.
Il dibattito è stato inoltre animato dalle riflessioni degli studenti e dei religiosi intervenuti, e si è concluso con la relazione di Fra Raffaele di Muro, che ha fatto leva sulla considerazione che il martirio di Padre Kolbe e Rosario Livatino non è il frutto di un momento, ma l’esito di un cammino d’amore che ha raggiunto il punto più alto. Un martirio espressione di una scelta di vita, del dono di sé, un dono d’amore, perchè “solo l’amore crea”.