Avvenire di Calabria

Tra silenzi istituzionali e tensioni territoriali, riprende l’iter dell’autonomia differenziata

Sanità e autonomia differenziata, il nodo resta sui Lep

La legge Calderoli, già approvata e in parte bocciata dalla Corte costituzionale, continua a suscitare dubbi e perplessità

di Rubens Curia *

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Tra silenzi istituzionali e tensioni territoriali, riprende l’iter dell’autonomia differenziata. La legge Calderoli, già approvata e in parte bocciata dalla Corte costituzionale, continua a suscitare dubbi e opposizioni, soprattutto nel Mezzogiorno, dove cresce la preoccupazione per i possibili effetti su sanità, scuola e coesione sociale.

Sanità, l’autonomia che divide l’Italia

Sin da quando, il 28 febbraio 2018, in occasione del preaccordo sull’autonomia differenziata firmato a Palazzo Chigi tra il sottosegretario agli Affari regionali Bressa (governo Gentiloni) e i governatori delle regioni Lombardia, Maroni, Emilia-Romagna, Bonaccini e Veneto, Zaia, dissentii fortemente da quel preaccordo che, per svariati motivi, fortunatamente si arenò. In quell’occasione dichiarai che l’autonomia differenziata, in merito alla tematica della sanità, rompeva definitivamente l’unità del Servizio sanitario nazionale, creando incolmabili diseguaglianze tra regioni ricche e regioni con un Pil basso, come la Calabria.



Nel 2024 il governo Meloni, sotto la forte spinta del ministro Calderoli, approvò la legge 86 che riproponeva l’autonomia differenziata con le sue diseguaglianze, prevedendo alla fine del percorso 20 Servizi sanitari regionali! In seguito al ricorso di cinque regioni governate dal centrosinistra, la Corte costituzionale, con la sentenza 192 del 14 novembre 2024, ha praticamente prosciugato la precipitosa — per i tempi della sua scrittura — legge Calderoli, per cui non è stato reso ammissibile lo stesso referendum sulla legge.

La legge Calderoli e la decisione della Consulta

Uno dei punti centrali della sentenza è che l’attribuzione di ulteriore autonomia alle regioni debba riguardare «specifiche funzioni» e «non materie o ambito di materie», come previsto dalla legge Calderoli, e che, inoltre, la richiesta di ulteriori funzioni debba essere adeguatamente motivata dalle regioni alla stregua del principio di sussidiarietà (sic!).


PER APPROFONDIRE: Il regionalismo differenziato dopo la sentenza della Corte Costituzionale


Insomma, è stata posta una pietra tombale sulla concezione di «autonomia» come prevista dal ministro Calderoli, che insiste sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep), i quali, secondo la sua previsione, dovevano essere approvati con un semplice decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, espropriando di fatto il Parlamento su un argomento così strategico, che deve garantire i diritti civili e sociali in egual misura a tutti gli italiani. 

Il nodo dei Lep

Faccio presente che i livelli essenziali assistenziali (Lea), da cui dovrebbero discendere i Lep, furono approvati nel 2017 previa «intesa» nella Conferenza Stato-Regioni e non certamente con un semplicistico ed autocratico Dpcm. Infine, non è da sottovalutare la copertura finanziaria dei Lep, non prevista, e i costi standard di ogni Lep. Ricordo che, per trovare la copertura finanziaria ai Lea, ci sono voluti oltre sei anni per la strenua presa di posizione delle regioni.



Le regioni, nella sanità, hanno già un importante ruolo nella programmazione, partecipando alla definizione dei Piani sanitari nazionali e degli «obiettivi di piano», nella distribuzione del Fondo sanitario nazionale e dell’organizzazione della sanità con la loro presenza nella «Conferenza Stato-Regioni» e con altri strumenti dove la loro presenza è cogente, a meno che qualcuno volesse scrivere autonomia ma leggere secessione.

* Comunità competente

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