Avvenire di Calabria

Il Direttore dell'Ufficio Comunicazione Sociali della Cei, Vincenzo Corrado, propone una riflessione

Settimanali cattolici, l’impegno è raccontare «il Paese reale»

Redazione Web

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di Vincenzo Corrado * - Come spesso avviene, rileggere la storia con uno sguardo attento non può che suscitare un profondo senso di gratitudine. Gli sviluppi, così repentini della comunicazione, ci fanno a volte perdere quella lentezza necessaria per riavvolgere il nastro delle nostre vite, sostenuti da quelle domande che fanno parte del tessuto della persona umana: chi siamo? Chi sono io? Chi sei tu, Fisc, nel 2020? Qual è la mia storia, la tua storia, la nostra storia?

Il nostro sguardo deve allargarsi e abbracciare tutte le persone che hanno permesso che un sogno nel lontano 1967 diventasse realtà: Mons. Aldo Gobbi, primo presidente, cui sono seguiti Mons. Franco Peradotto, Mons. Giuseppe Cacciami e, accanto a loro, Giovanni Fallani, storico segretario della Federazione e primo direttore del Sir. Un pensiero grato anche agli altri presidenti che si sono succeduti negli anni: Mons. Gilberto Donnini, Mons. Duilio Corgnali, Mons. Vincenzo Rini, Don Giorgio Zucchelli, Francesco Zanotti e Don Adriano Bianchi. Alcuni di loro sono tra noi, altri hanno lasciato il servizio per raggiunti limiti di età, altri ancora sono nell’abbraccio misericordioso del Padre. Ricordiamoli con affetto.

Il ricordo, però, non è fine a sé stesso, non è semplice esercizio mnemonico, ma responsabilità e impegno concreto a mettere a frutto ciò che abbiamo ricevuto in dono. Scriveva Mons. Franco Peradotto in una riflessione per i quarant’anni della Federazione: «Auspico che cresca il ‘patrimonio’ della Federazione: che non è soltanto (per quanto importanti queste cose siano) il servizio che essa svolge, la presenza culturale ed ecclesiale. Il patrimonio più prezioso è l’amicizia fra i direttori e i redattori, maturata nei momenti faticosi come in quelli lieti; è la conoscenza di persone significative, quella possibilità, veramente unica, di scoprire l’Italia attraverso le fonti qualificate dei direttori di giornali con cui si condivide non solo il mestiere ma la passione della vita. Ed è, ancora, il patrimonio professionale che i giornali cattolici hanno seminato, in oltre un secolo, accogliendo migliaia di giovani, preti e laici, e facendone dei giornalisti».

Quel patrimonio ora è nelle vostre mani, sta a voi scegliere se farlo fiorire o appassire. Il seme è stato gettato negli anni, ma come per le piante ha bisogno di cure costanti. E, soprattutto, di quella premura amorevole che porta frutti. Non temete, quindi, d’imboccare strade nuove o percorsi innovativi. Non temete di lasciarvi interrogare e di cogliere le sfide che il tempo presente pone. Molto spesso si è portati a indossare il cambiamento come un vestito - come è accaduto tante volte nella storia - ma restando poi sempre fondamentalmente uguali a sé stessi, restando cioè ciò che si era in partenza. Ma se il cambiamento fosse alla radice, allora sì che potremmo assumere la nostra storia ridefinendo e aggiornando il nostro essere, le nostre strutture, il nostro servizio, perché di questo si tratta. Affermava Giovanni Fallani, nel corso di un dibattito a un convegno nazionale della Fisc a Cremona nel 1997: «L’essere dell’uomo è paradosso e noi non vogliamo essere un’identità diversa, che ci allontani dall’umanità dell’uomo. È la nostra caratteristica; più siamo vicini all’umanità dell’uomo, più viviamo questa tensione tra l’uno e il molteplice». È l’umanità la chiave di volta della vostra informazione. Se è vero che il territorio non è un semplice confine geografico, ma è la profondità dell’essere umano, è ancora più vero che la cifra costitutiva di una Federazione, come questa, non può che essere l’umanità. Da custodire, ma anche da trasmettere alle nuove generazioni.

Il riferimento alla memoria non è un elemento statico, ma dinamico. E in questa sua dinamicità, la memoria permette lo sviluppo del dialogo tra le generazioni. Una sfida, questa, da vivere appieno: se colta nella sua essenza, infatti, ne beneficerà tutta la società che verrà ricomposta e pacificata nelle sue mille sfaccettature. La memoria, poi, è cammino continuo, è capacità di afferrare il frammento riconducendolo all’insieme. Non è ingresso in un museo o libro di citazioni cui riferirsi nei momenti difficili, ma input a rinnovarsi continuamente, a rivedere totalmente il proprio modo di essere e di pensare. È qui che si origina lo stupore. D’altronde, come ricorda Papa Francesco, «la vita, senza stupore, diventa grigia, abitudinaria; così la fede. E anche la Chiesa ha bisogno di rinnovare lo stupore di essere dimora del Dio vivente, Sposa del Signore, Madre che genera figli. Altrimenti, rischia di assomigliare a un bel museo del passato».

Alla Federazione il compito di assaporare la bellezza e la fatica dello stupore. È l’unica medicina al virus dell’autoreferenzialità. Lo stupore riconnette con il territorio, valore umano, sociale e culturale dentro il quale il settimanale diocesano «si costruisce e costruisce». Non delimitato dall’ombra del campanile, il settimanale è il luogo in cui la concretezza della vita misura ogni giorno i concetti e le teorie nel confronto con la fatica e la speranza della gente. Per questo, la cultura del territorio, che ispira e sostiene l’esperienza dei settimanali, non ha avuto timore di confrontarsi con la globalizzazione, le diversità, le nuove tecnologie. Come altre, ha avuto momenti difficili, ma questa cultura è uscita rafforzata dalla prova perché è nutrita dalla saggezza della gente. La fiducia del lettore nel settimanale non è fine a sé stessa, ma offre indicazioni utili a costruire comunità. In queste giornate riflettete su «libertà di stampa e presidi di libertà». Una scelta, questa, che rimanda alla storia della Federazione. Scorrendo l’elenco dei convegni, promossi dalla Fisc, è curioso notare come già nel 1976, a Padova, in un incontro di studio, era stato messo a tema «Il settimanale strumento di libertà e partecipazione». Annotava Mons. Peradotto a conclusione dell’evento: «Noi adesso siamo di fronte al dopo-convegno che conferma la linea di impegno per la libertà e la partecipazione, anzitutto e soprattutto, nelle nostre comunità, perché non abbiamo dimenticato di essere stampa “locale”. Anzi, proprio questo riferimento molto preciso ad un contesto ben determinato di persone e di problemi ci obbliga a lavorare ancora più in sintonia con la nostra “base” per aiutarla nella sua crescita e nella sua “promozione” che vogliamo, come cristiani, nella prospettiva del messaggio evangelico». E aggiungeva: «Ricorderemo sempre che il cammino della libertà passa attraverso la partecipazione di tutti gli uomini, soprattutto degli “ultimi” e degli “emarginati”, dei quali vogliamo sempre più essere i difensori e ai quali vogliamo offrire sempre più largo spazio nella nostra stampa chiedendo tale spazio per essi nella società». Era chiaro già allora che il luogo della liberà d’informazione è la democrazia. Tant’è che Mons. Cacciami in un altro convegno, tenuto nel 1985 a Teramo, sul «Ruolo dei settimanali cattolici oggi», evidenziava che la «Costituzione - pure se non completamente attuata - era ed è un punto di arrivo di quell’itinerario culturale, promosso dai cattolici, teso a costruire uno Stato sempre più articolato, al servizio della società civile e della ricchezza delle sue libere e autonome “formazioni sociali”. È in questo panorama che si colloca tutto il lavoro - non ancora concluso - dei settimanali cattolici dedicato allo studio del valore democratico e civile di una corretta informazione nel e sul territorio».

Sono, ancora una volta, i padri fondatori che ci guidano in questo tempo così difficile per molte testate. Perché riflettere oggi, dopo oltre quarant’anni, sulla libertà? Perché è il campo su cui si gioca la credibilità del pluralismo informativo e, di conseguenza, della democrazia. I settimanali, «presidi» dislocati sul territorio nazionale, sono un esempio autentico di libertà, perché incarnano quell’umanità che accomuna tutto il Paese. I giornali condividono esperienze ecclesiali e civili nella linea della libertà e della partecipazione, mettendole a confronto tra loro, «leggendole» alla luce di ulteriori interrogativi e proposte. Non solo, sono anche le sentinelle della società, ogni volta in cui cercano di mettere in evidenza dove libertà e partecipazione non ci sono; dove sono poste in crisi; dove possono essere potenziate. È la funzione del “presidio”! Coglierne le potenzialità e alimentarle è questione di libertà.

In gioco - e lo sappiamo benissimo - c’è il racconto del cosiddetto «Paese reale» che si esprime su queste testate e che non è assolutamente marginale: è il Paese dei poveri, degli esclusi, degli emarginati, degli scartati… È il Paese che, con la sua cultura e i suoi costumi particolari, ha i tratti della difesa della persona reale con le sue situazioni, i suoi problemi, le sue attese e la rivendicazione d’istituzioni a servizio di questa persona e delle sue aspirazioni. È, anche per questo, che oggi parliamo di «libertà di stampa e presidi di libertà». Insomma, di opinione pubblica!

Illuminante, in questo, è il documento programmatico della Fisc, che detta in un certo senso le linee del settimanale diocesano e ne prevede con lungimiranza e profezia gli sviluppi futuri. Questo testo, noto anche come documento di Brescia, perché frutto di un convegno nazionale sul tema «L’opinione pubblica nella Chiesa» (dicembre 1968), è stato redatto dal Consiglio nazionale Fisc il 25-26 ottobre 1969. All’articolo 5 vi si legge: «L’opinione pubblica ha una funzione determinante nella maturazione delle coscienze e nella trasformazione delle strutture […]. Pertanto deve essere garantito che essa possa esprimere la presa di coscienza del ruolo attivo e responsabile della persona e della comunità, la consapevolezza di dover partecipare direttamente alla ricerca e alle scelte cui è legato il destino di tutti». Se venisse meno la libertà, verrebbero sfregiate le persone e le comunità. Non è una rivendicazione finalizzata all’autoconservazione, ma un impegno a continuare a tenere desta l’attenzione su quelle periferie geografiche ed esistenziali, che altrimenti resterebbero ai margini. E, in questo impegno, colgo la specificità dei settimanali diocesani con quel «proprium» che invito a continuare a coltivare. Sono delle parole-chiave che ho appreso sfogliando le pagine delle vostre testate: umanità, qualità, semplicità di linguaggio, memoria.

L’umanità che permea e accompagna ogni pagina delle vostre testate, siano cartacee oppure online. L’umanità come atteggiamento interiore del giornalista; l’umanità come rispetto nei confronti del lettore; l’umanità come responsabilità ad essere presenti in tutti i luoghi della comunicazione. La qualità: offrire un’informazione di qualità è una prerogativa per quasi tutti gli organi d’informazione. Lo è di più per i settimanali diocesani, da sempre attenti a proporre un contributo serio e specifico alla completezza dell’informazione. La strada della qualità è stata da sempre segnalata da due indicazioni principali: essenzialità e fondatezza. Quella della qualità non è una pagina già scritta, ma un impegno che continua quotidianamente. Semplicità di linguaggio: la maturità umana e la qualità diventano monito per un linguaggio puro e purificato, intessuto di parole capaci di contrastare i tanti linguaggi oggi in voga e di «costruire - come hanno ricordato i Papi negli ultimi anni - dei ponti di comprensione e comunicazione». La questione del linguaggio è determinante e di estrema credibilità. Memoria. È l’unico criterio che permette di sfuggire all’assolutizzazione della novità e alla velocità che impoverisce la riflessione e il ragionamento. Fermo restando che «dare l’ultima notizia» - come si dice nel gergo giornalistico - è prioritario per qualsiasi organo informativo, occorre scongiurare il pericolo di una «dittatura del presente». Sotto la spinta vorticosa delle nuove tecnologie, si cela un dominio dell’«attuale» su quella che viene ritenuta l’«insignificanza» del passato. Ma senza memoria non c’è identità! Umanità, qualità, semplicità di linguaggio e memoria da vivere nella laicità delle testate. La comunicazione è il campo, forse, più fertile in cui vivere la comunione della nostra identità di credenti. E, viceversa, è proprio questa identità a caratterizzare la nostra comunicazione. Importante non trascurare la formazione: su questo, come Ufficio nazionale, stiamo puntando. E il rinnovato progetto Anicec, che ora presento in anteprima, sugella l’importanza di questo impegno.

A nome dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, l’augurio di continuare a essere stampa di verità e di libertà, nel solco secolare del giornalismo cattolico italiano, soprattutto di quello locale. «Chi comunica - spiegava Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2014 - si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”». È la carta d’identità: farvi simili all’altro e, insieme, tessere le trame del territorio.

 
* Direttore dell'Ufficio Comunicazione Sociali della Cei

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