Avvenire di Calabria

Ripercorriamo la storia della parrocchia di Riparo Vecchio, sulle colline di Reggio Calabria, grazie agli studi dell'architetto Renato Laganà

La storia della parrocchia di Riparo Vecchio a Reggio Calabria

Dalle ricostruzioni emerge come i primordi narrano di una chiesetta retta dai laici residenti sul territorio che sovrasta il centro urbano reggino

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Ripercorriamo la storia della parrocchia di Riparo Vecchio, sulle colline di Reggio Calabria, grazie agli studi dell'architetto Renato Laganà. Dalle ricostruzioni emerge come i primordi narrano di una chiesetta retta dai laici residenti sul territorio collinare.

Riparo Vecchio, la parrocchia sulla collina di Reggio Calabria e la sua storia da riscoprire

Le vicende storiche della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Prumo hanno già evidenziato il rapporto tra essa e la parrocchia di Santa Maria della Neve che aveva sede nella contrada Riparo. Questa si estende geograficamente lungo la sponda settentrionale del Calopinace tra la vallata e il declivio collinare che sale verso il Serro Pietrinava. La prima descrizione della chiesa ci riporta alle visite pastorali dell’arcivescovo D’Afflitto e, più precisamente, a quella fatta nel 1595 quando, proseguendo nel suo itinerario nella vallata, giunse a «S. Maria dello Reparo» nella quale era cappellano «amovibile» il sacerdote Filippo Malavendi. Svolgeva le mansioni di rettore il signor Filippo Lingria il quale garantiva una «elemosina» di trenta ducati, raccolta tra i fedeli della contrada, per la celebrazione delle messe nei giorni di domenica e nelle altre festività e in due giorni della settimana.


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In essa si venerava l’immagine della Madonna dipinta su tavola e sul campanile vi era una campana. Nella visita successiva, fatta il 15 gennaio 1600, si specificava che la chiesa era stata costruita dagli abitanti del luogo detto «lo Reparo» che distava tre miglia dalla città di Reggio all’interno della parrocchia di San Nicola del villaggio di Cannavò.

Anche questa chiesa, dopo le indicazioni del primo Sinodo diocesano del 1595, era retta dai «mastri» o procuratori, ovvero da «persone devote che per vicinanze o particular loro devotione piglieranno in governo qualche chiesa» che, dopo la conferma del vicevicario, erano tenuti alla chiusura ed all’apertura della chiesa, alla tenuta dell’inventario dei beni ed alla raccolta delle elemosine. In quell’anno erano Luca Lingria, Enrico Pratantaro, Francesco Scafaria e Giovanni Bosurgi che avevano designato come cappellano il sacerdote reggino Giacomo Giustra.

La chiesa misurava in lunghezza 26 palmi e in larghezza 18 (7x5,8 metri), aveva un solo altare sul quale vi era l’immagine della «Gloriosissima Vergine» e sul lato vi era un grande Crocefisso. Era dotata di pochi paramenti sacri e tra le suppellettili si indicavano alcuni candelieri in legno, un paliotto di cuoio, un altare portatile, un Messale del 1573. La campana posta sul campanile pesava 15 rotoli (circa 13 Kg). Il presule, come nelle altre chiese già visitate, richiese che fossero eseguiti, entro un mese, alcuni adeguamenti liturgici (ampliamento dell’altare e della predella, credenza per i sacramenti e balaustra).

Nella successiva visita dell’agosto 1616, trovò come procuratori Giuseppe De Capua, Cesare Musulino e Giuseppe Santoro, restando cappellano il sacerdote Giacomo Giustra. Sull’altare si venerava l’icona mariana con raffigurato anche San Giuseppe. Per l’area presbiteriale rinnovò la richiesta degli adeguamenti che non erano stati eseguiti, ordinando di realizzare anche nell’aula un confessionale. La dotazione dei paramenti e delle suppellettili si era accresciuta, e tra essi si indicavano due paliotti, dei quali uno «con l’immagine della Madonna» e l’altro di «capricciola turchina e gialla».

Dieci anni dopo il presule trovava procuratori Antonino Bosurgi, Francesco Scafaria, Giovandomenico Lafaci e Francesco De Capua. L’anno successivo, accogliendo le richieste della popolazione che incontrava difficoltà a raggiungere la sede parrocchiale di Cannavò nel periodo autunnale e invernale, a causa delle piene della fiumara del Calopinace, istituiva la nuova parrocchia di Santa Maria ad Nives in Riparo.

I confini vennero così definiti: «incomincia dalle monache di Pintare inclusine, va al molino del fiscale e va per li Zangari, dopo va per la ripa di Prumo insino alla crocevia di d.o Prumo esclusine per insino a via Savia inclusine a finire da dove incominciò». Il numero dei focolari era di 78 unità con circa 362 fedeli.

Nel 1671, il nuovo arcivescovo Matteo De Gennaro, dove venne accolto dal parroco sacerdote Francesco Bosurgi. Dopo l’adorazione dell’Eucarestia, custodita sull’altare maggiore all’interno di un grande tabernacolo dorato, il presule ispezionò il fonte battesimale, collocato sul lato sinistro in prossimità dell’ingresso, racchiuso con un cancello ligneo e sovrastato da un conopeo nel quale erano riposti gli oli sacri. Sull’altare maggiore era collocata la grande icona, dipinta in olio, della Vergine comunemente chiamata «del Riparo» davanti al quale era collocata una lampada ad olio perennemente accesa. Sulla parete sinistra dell’aula vi era un altro altare dedicato alla Madonna del Rosario, fondato dalla famiglia Santoro e in esso celebrava messa, il giorno di sabato, il sacerdote Vincenzo Laboccetta.

L’area presbiteriale era racchiusa da una balaustra con cancello ligneo ed illuminata da due grandi candelabri. All’ingresso era collocata una acquasantiera marmorea. La chiesa era stata ricostruita a seguito della distruzione causata da una alluvione che comportò lo spostamento della sua sede. Ad essa si accedeva da un’unica porta, era illuminata da tre finestre oltre quella del presbiterio e risultava ingrandita, in quanto misurava il lunghezza palmi 50 e in larghezza palmi 22. (13,5x6 metri). La campana del campanile era stata sostituita con una più grande del peso di 35 rotoli (circa 31 Kg).

Nel corso del Settecento, essa venne descritta nel periodo in cui fu arcivescovo Alberto Capobianco. Nel 1768, il canonico Giuseppe Marra, delegato per la visita, venne accolto dal parroco don Bruno Mascia che era da tempo infermo. L’altare aveva conservato l’aspetto precedentemente descritto ma il fonte battesimale necessitava di una chiusura con serratura in ferro e si doveva anche spostare, in posizione angolare, la scala utilizzata per raggiungere e suonare la campana. Il delegato arcivescovile prescrisse alcune integrazioni per i paramenti liturgici e per i corredi necessari alla celebrazione delle messe.

Il terremoto del 5 febbraio 1783 che arrecò molti danni nella contrada, fece rovinare le strutture murarie della chiesa. La sua ricostruzione venne compresa in un provvedimento del 1788 ed il parroco don Cristoforo Musolino si prodigò per fare avviare i lavori, il cui costo, oltre il contributo governativo, venne sostenuto dai parrocchiani. Il Piano, elaborato dal Marchese di Fuscaldo nel 1796, riequilibrando i beni delle parrocchie della diocesi, contribuì a garantire, con l’attribuzione di alcuni beni, la congrua del parroco, fissandola in circa 24 ducati.


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La parrocchia del "primato"

La crescita del numero degli abitanti nella parrocchia, passati da 255 nel 1786, a 388 nel 1789, fu dovuta alla ricerca di aree più stabili per la ricostruzione da parte degli abitanti dell’area compresa tra Riparo e Cannavò.

Nel 1818 la parrocchia, come indicato in alcuni documenti conservati presso l’Archivio diocesano, registrava 451 anime. La chiesa necessitava di urgenti riparazioni ed il parroco Passaniti in una relazione del marzo 1821, affermava che «sta sul pericolo di rovinare, si fece qualche piccolo argine colle questue passate, ma non furono sufficienti a darle un baluardo di sostegno, onde è, che di giorno in giorno le fissure van dilatandosi, et alla rovina minaccia vicino l’indizio, senza poter in appresso poi dar riparo».

Venne incaricato il «fabricatore M.o Giuseppe Antonio Massara» perché «il Coro con tutto il mezzo arangio, sta per vulnare» e a fronte di una perizia di 50 ducati si potè intervenire subito con la vendita di una antica quercia sita in un terreno della chiesa, prossimo al pianoro di Nasiti. Nel 1829, in occasione della visita pastorale dell’arcivescovo Emmanuele Bellorado, al parroco Passaniti vennero consegnati gli arredi sacri della chiesa di San Nicola di Cannavò. La struttura architettonica della chiesa venne descritta nella relazione redatta dal nuovo parroco sacerdote Fortunato Quattrone, nominato il giorno 8 agosto 1868, per la visita fatta dall’arcivescovo Francesco Converti nel 1873.

Essa misurava palmi 68 in lunghezza e palmi 28 di larghezza ed era alta palmi 30 (18,30 x 7,50 x 8 metri) e risultava ancora «bisognevole di riparazione» nel pavimento in mattoni. L’interno era illuminato da cinque finestre e la copertura era in buono stato e, oltre all’altare maggiore che ospitava il ciborio definito «in malo stato», aveva due piccoli altari su uno dei quali era collocata una statua della Vergine del Rosario.

La sacrestia era sita a destra dell’altare maggiore ed era dotata di un armadio per la custodia degli oggetti sacri. Il campanile, di forma quadrata, era formato «da tre pilastri congiunti da due archi», collocato in alto nella parte mediana della facciata ed ospitava due campane del peso di rotoli 10 (circa 9 Kg) la piccola e rotoli 20 (circa 18 Kg) la grande. La popolazione era scesa a 362 anime.


PER APPROFONDIRE: Riparo Vecchio, la storia gemella della parrocchia di Prumo


Il periodo in cui fu parroco il sacerdote Fortunato Quattrone, durato circa trenta anni, sino alla sua nomina a canonico del Capitolo della Cattedrale reggina, venne in seguito ricordato come quello in cui la parrocchia vantò «il primato spirituale e morale di tutta la Diocesi».

Egli venne ricordato per le sue doti di «pietà e zelo, amore ardente alle anime, singolari qualità di mente e di cuore… larga carità verso i poveri» ricevendo amore e vene- razione dai suoi fedeli. Nel 1894 gli subentrò il parroco sacerdote Vincenzo Marcianò che resse le parrocchia per 25 anni, continuando l’azione del suo predecessore sino a quando venne anch’egli promosso a canonico nella Cattedrale. Sul finire dell’Ottocento essa contava 689 anime.

In occasione del terremoto del 28 dicembre 1908 la sua azione nel soccorrere la popolazione, privata delle sue abitazioni, fu continua. Già nel 1909, per assicurare la continuità del ministero pastorale si prodigò per la edificazione della chiesa baracca presso il delegato pontificio monsignor Cottafavi che era coadiuvato dal conte Zileri, chiedendo l’autorizzazione a vendere il suolo della chiesa distrutta con il piazzale adiacente per procedere all’acquisto di un nuovo suolo per edificare la nuova struttura, donata dal Santo Padre Pio X.

Nel settembre essa venne completata e il giorno 19 venne celebrata la prima messa dal Vicario capitolare. Il settimanale diocesano «Reggio Nuova» nel descrivere l’avvenimento indicò che il nuovo tempio sorgeva «dirimpetto all’antico in amena positura». La distruzione del centro di Cannavò comportò in quegli anni il trasferimento di molti abitanti nell’ambito della parrocchia del Riparo.

Negli anni successivi la chiesa venne compresa nell’elenco degli edifici da ricostruire fatto dall’Opera Interdiocesana per la ricostruzione. Avvenne intanto che, dovendosi istituire la nuova parrocchia di San Paolo nell’area di via Reggio Campi a Reggio, necessitava dotarla di un beneficio.

Fu proposta la fusione delle due parrocchie di Cannavò e Riparo, trasferendo alla parrocchia urbana di San Paolo il beneficio di Santa Maria ad Nives. Si otteneva, con il consenso dell’arcivescovo Rousset, il diritto per la costruzione della nuova chiesa mutuando il progetto già fatto. Nel dicembre 1927, il parroco di Cannavò, sacerdote Fortunato Provazza, accettava la proposta della nuova parrocchia intitolata a Santa Maria ad Nives e a San Nicola di Mira, e il primo gennaio 1928, l’arcivescovo Carmelo Pujia firmava il decreto per la sua costituzione, che otteneva l’assenso del Sovrano il 3 settembre successivo.

Negli anni seguenti, non assicurando il parroco di Cannavò la celebrazione delle messe nelle chiese di Riparo, la popolazione iniziò ad avanzare richiesta per la restituzione del beneficio. Nel 1931 non potendo più garantirsi con le offerte dei fedeli la celebra- zione delle messe, a causa della crisi economica, non bastando il sussidio messo a disposizione dall’arcivescovo, essi iniziarono a protestare e il presule per trovare una soluzione destinò una parte del lascito del sacerdote Bruno Curatola destinato alla costituzione di una nuova parrocchia al rio- ne Pepe, chiedendo l’autorizzazione della Sacra Congregazione del Concilio di Roma, cui si rivolsero gli abitanti di Riparo, nel 1937, per trovare una soluzione alle loro difficoltà. Nel dicembre 1937, l’amministratore apostolico monsignor Nogara dispose l’invio di un sacerdote che «celebri e compia le altre opere di ministero, onde non vi sia più luogo a lamenti».

I proprietari terrieri del luogo e la popolazione si tassarono per garantire l’attuazione dell’impegno preso. Fu il passo necessario per avanzare ancora la richiesta della ricostituzione della parrocchia che venne presa in considerazione dall’arcivescovo Lanza nel 1945 e perfezionata, dopo i necessari passaggi burocratici, con bolla del 28 marzo 1948. Venne designato come parroco il sacerdote Enrico Marcianò cui subentrò, nell’agosto 1950 il sacerdote Vincenzo Quattrone. Il riconoscimento civile della ricostituita parrocchia fu perfezionato nel 1954.

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