Avvenire di Calabria

Renato Laganà ripercorre le tappe della parrocchia di Prumo a Reggio Calabria: la storia della comunità si intreccia con quella del rione

La storia della parrocchia di Prumo, rione sulla collina di Reggio Calabria

Aneddoti e ricostruzioni spuntano dagli archivi: rivive un tempo passato le cui fondamenta sono ancor oggi visibili agli occhi dei fedeli

di Renato Laganà

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Renato Laganà ripercorre le tappe della parrocchia di Prumo a Reggio Calabria: la storia della comunità si intreccia con quella del rione. Aneddoti e ricostruzioni spuntano dagli archivi: rivive un tempo passato le cui fondamenta sono ancor oggi visibili agli occhi dei fedeli.

Reggio Calabria, la storia della parrocchia di Prumo

Prosegue il nostro itinerario nel percorso vallivo del torrente Calopinace, giunto alla nona puntata. A monte di San Cristoforo confluiscono le acque che provengono dal profondo Vallone di Scasso, ai piedi del Monte Gonì, verso la fiumara del Calopinace.

Il villaggio di Prumo si era formato tra le meno acclivi balze collinari sulla testata del percorso di crinale che dalla pianura valliva risaliva verso Nasiti e proseguiva per Terreti. Le visite vescovili a noi pervenute dopo gli incendi delle incursioni turchesche ci consentono di ricostruire la storia delle chiese e dei luoghi dall’anno 1595 quando l’arcivescovo Annibale D’Afflitto visitò la chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Il cappellano della chiesa era il sacerdote Marco Antonio Laboccetta che per la sua attività riceveva una «elemosina» di 24 ducati raccolti tra i fedeli e la dotazione di paramenti e arredi sacri era minima. La relazione della visita accenna alla presenza di un quadro con l’immagine di san Giovanni dipinta su tela.

Cinque anni dopo le informazioni contenute nel documento della visita successiva riportano più indicazioni. La chiesa era sita all’interno del territorio fuori della cinta urbana della parrocchia di san Giorgio dei Golfieri.

Essa era stata costruita dalla popolazione che abitava in quelle aree agricole «per comodità di udire la messa» e la sua gestione seguiva le modalità già descritte per le altre chiese non parrocchiali della vallata. Ogni anno, il 2 luglio, giorno della festività della Madonna delle Grazie venivano eletti tre rettori il cui compito era quello di curare la manutenzione e il decoro dell’edificio sacro e di designare il cappellano.

Nell’anno 1600 erano stati eletti Conforto Scuncia, Ottavio Suraci e Terenzio Branca e il cappellano «rimovibile» era il sacerdote Marco Antonio Laboccetta al quale veniva corrisposto uno stipendio di 24 ducati per celebrare le messe tutte le domeniche ed i giorni festivi.

I redditi della chiesa derivavano da tre legati garantiti quell’anno da Fabio Veneziano che versava annualmente quattro ducati per un censo sul suo giardino, sito in Prumo lungo la strada che era stato lasciato dal defunto Antonello Laboccetta; da Antonino Triglia che versava annualmente un censo di nove aquile, lasciato da sua moglie, sito nella stessa contrada accanto il giardino di Ascanio De Capua; da Giuseppe Calarco che versava annualmente sei aquile per un censo su un terreno sito nella vicina contrada Pietra Storta, confinante con i terreni di Simone Laboccetta e Mariuccia Carbone, che era stato lasciato da Antonello Laboccetta. Questi benefattori venivano ricordati nella celebrazione delle messe.


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Nell’elenco degli «ornamenti» troviamo indicata la presenza di un quadro della Madonna che era racchiuso in una cornice dorata, di un Crocifisso grande e di uno piccolo e di un dipinto sulla parete che raffigurava san Nicola.

Il presule rilevò la necessità di alcuni interventi per rendere funzionale la chiesa e più precisamente si dovevano «sfabricare l’altare che sta in mezzo», aumentare le dimensioni dell’altare maggiore «di un palmo per parte», modificando anche la pedana, realizzare delle balaustre in legno davanti all’altare, curare la chiusura delle finestre ostruendo tutti i fori.

Per rendere efficaci le sue prescrizioni sospese le celebrazioni sino alla completa realizzazione delle opere indicate. La relazione della successiva visita pastorale del dicembre 1616 ci descrive più in dettaglio lo stato della chiesa. Essa misurava 36 palmi in lunghezza e 23 palmi in larghezza (9,80 x 6,20 metri) ed aveva un unico altare sul quale era collocata l’icona mariana dipinta in olio, e in esso venivano celebrate le messe per i benefattori. Sulla destra era posizionato un Crocefisso scolpito in legno e sulla sinistra era affissa sulla parete l’icona che raffigurava san Giovanni Battista che battezza Cristo nel fiume Giordano.

Erano in quell’anno rettori i «maior» Giuseppe De Capua e Paolo Geria e Andrea Marra e Filippo Prisco con cappellano il sacerdote Giovanbattista Toscano. Ad essi il presule richiese la realizzazione di un piccolo armadio, sulla parete sinistra per riporre gli oggetti sacri e i paramenti necessari per le celebrazioni oltre ad un inginocchiatoio, ad un recipiente per le abluzioni prima e dopo la messa.

La chiesa inoltre doveva essere dotata di un confessionale nella parte mediana e di una acquasantiera di marmo in prossimità dell’ingresso, dando mandato al cappellano che provvedesse alla chiusura dell’edificio ed alla sua apertura per le celebrazioni festive. La dotazione di paramenti sacri e di oggetti liturgici era stata arricchita e tra gli «ornamenti» erano indicati due angioletti dorati e i candelieri in legno che decoravano l’altare e un quadro con la raffigurazione della Passione.

La campana posta sul campanile pesava dieci «rotoli» (circa 9 kg) poi sostituita, negli anni seguenti con una di 36 (circa 32 kg.). Le successive visite del 1628 e del 1631 fatte dall’arcivescovo D’Afflitto confermano le indicazioni già riportate. Nell’ultima sua visita, nel novembre 1635, il presule trovò come cappellano il sacerdote Dionigi Famà e, come rettori, Giuseppe De Capua e Alfonso Laboccetta.

Con la nascita delle nuove parrocchie extraurbane Prumo venne compresa nel territorio della nuova parrocchia di Santa Maria del Riparo mantenendo la gestione autonoma da parte dei rettori che, nel 1671, anno della visita dell’arcivescovo De Gennaro, erano Filippo Pellicano, Francesco Mangila e Giacomo Rognetta che avevano nominato cappellano il sacerdote Angelo Rognetta che riceveva un compenso annuo di 12 ducati. La descrizione della chiesa ci fornisce delle nuove informazioni sui dipinti presenti con l’indicazione di un San Gerolamo, di San Giovanni e di San Nicolò papa.

Quest’ultimo era affrescato sopra un altare, sul lato sinistro, nel quale non venivano celebrate messe. Sulla parete sinistra, oltre al Crocefisso, vi era una icona della «Gloriosissima Vergine della Purificazione» dipinta in olio e racchiusa in una cornice dorata. Nel corso della settimana celebravano messa anche il sacerdote Marco Antonio Moscato e il sacerdote Carlo Melito in adempimento ad alcuni legati.

All’interno della chiesa vi erano un «fonte marmoreo per l’acqua benedetta» e un confessionale ed era stata sospesa una lampada che veniva accesa il sabato e la domenica e negli altri giorni festivi. Due finestre illuminavano la chiesa e sulla porta vi era il campanile a vela che ospitava la campana.


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Proseguendo nell’anno 1671 la sua visita pastorale nella zona di Prumo, all’interno della parrocchia di Santa Maria di Riparo, l’arcivescovo De Gennaro, visitò una piccola chiesa patronale che era stata dedicata a S. Maria della Catena.

Essa era stata edificata in un giardino di proprietà di Domenico Castelli, appartenente a quella famiglia, originaria di Milazzo (come indica lo storico Arillotta) che si era stabilita nel XVI secolo a Reggio, e che era particolarmente devota alla Vergine del Miracolo avvenuto a Palermo nel 1392, la cui venerazione era molto diffusa in Sicilia.

All’interno della chiesa, che aveva in cura Giuseppe Pontari, vi era una icona, dipinta in olio, «della Gloriosissima Vergine con S. Francesco e S. Antonio di Padova» che era collocata sotto una arcata tinteggiata con calce.

Vi celebrava le messe, nei giorni di domenica e nelle altre festività, il reverendo sacerdote Angelo Rognetta che riceveva una «elemosina» dagli eredi del «fondatore Castelli» ricavata dalle rendite del giardino che circondava la chiesa.

Le dimensioni in lunghezza erano di 20 palmi e la larghezza misurava 14 palmi (5,50 x 3,80 metri circa), era illumina- ta da due finestre e ad essa si accedeva da una porta esterna e da un passaggio sotterraneo che la collegava alla residenza di campagna della famiglia Castelli.

Il presule, essendo la chiesa tenuta in modo indecente per il suo uso come deposito, ordinò che la stessa venisse interdetta alla celebrazioni delle messe e di altre attività di culto. Di questa chiesa non si hanno più notizie negli anni successivi e, a garantire le celebrazioni religiose, restò nell’area di Prumo soltanto la Chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Nel Settecento la situazione dei luoghi restò immutata e il terremoto del 5 febbraio 1783, che arrecò danni rilevanti nei vicini villaggi di Nasiti, «quasi distrutto», e di Cannavò «4 case diroccate, le altre lesionate», danneggiò lievemente la chiesa che, negli anni successivi, sino alla ri- costruzione della chiesa di Riparo ospitò la sede parrocchiale retta allora dal sacerdote Raffaele Pedagoli.


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In seguito alla dispersione delle comunità di frati avvenuta con la soppressione dei conventi, si era stabilito in Prumo in una casa «a torre» il frate Giuseppe Romeo che poi, il 14 marzo 1839, con atto del notaio Pasquale Oliva, nel lasciare alla sorella la «intiera casa sita nella parrocchia del Riparo» formalizzava un legato «col peso di pagare perpetuamente, il giorno 2 luglio di ogni anno, docato uno e sessanta grana al sign. Parroco pro tempore» la celebrazione delle messe durante la novena della festività della Madonna delle Grazie.

Si venne così a creare quello che fu denominato Beneficio di Santa Maria delle Grazie in Prumo che, con nomina fatta dal Vicario arcivescovile sacerdote Domenico Pudano e resa ufficiale con la Bolla del 15 aprile dello stesso anno dell’arcivescovo Pietro de Benedetto, venne assegnato, su indicazione anche del sacerdote Saverio Passaniti, parroco del Riparo dal 1790, all’accolito Pasquale Massara, originario di Sant’Agata in Cataforio e che esercitava la funzione di sacrestano nella Cattedrale reggina.

Il patrimonio immobiliare legato alla rendita era costituito da terreni agricoli, le cui caratteristiche ci consentono di ricostruire. Alcuni anni dopo, nel 1907, il parroco sacerdote Vincenzo Marcianò, richiese alla famiglia Cartella di riprendere a pagare «l’annuo censo di carlini sedici» che corrispondevano a lire 6,60, finalizzate, secondo il beneficio, alla celebrazioni delle messe nella novena.

L’anno successivo la chiesa venne danneggiata dal terremoto del 28 dicembre e ricostruita, a spese della popolazione locale, sul precedente impianto murario con l’aggiunta di un piccolo campanile sul lato settentrionale della facciata. Nell’ottobre 1919 l’arcivescovo Rinaldo Camillo Rousset visitò la chiesa, già restaurata, nella quale il parroco di Santa Maria di Riparo celebrava la Messa ogni domenica alle ore 7 del mattino restando, in occasione della novena di Santa Maria delle Grazie, l’impegno del beneficio che, con il consenso del presule, venne stabilito in tre celebrazioni la cui «elemosina» era garantita dal signor Paolo Vilardi che aveva acquistato i beni della famiglia Cartella.

Nel novembre 1947 l’arcivescovo Antonio Lanza, nel corso della visita pastorale, visitava la chiesa del- la contrada Graziella in Prumo che in una relazione degli anni Cinquanta, redatta dall’Ufficio tecnico diocesano, veniva indicata «in buono stato». Circa cin- quanta anni dopo, nel 2012, la chiesa necessitava di urgenti restauri.

Il parroco, sacerdote Nino Russo, avviava le procedure per i lavori di manutenzione, affidati agli architetti Maria Siclari e Antonino Cuzzola e, per l’esecuzione, all’impresa del geometra Carlo Caridi. A conclusione dei lavori eseguiti con il sostegno economico di alcuni benefattori e con un contributo dell’Amministrazione provinciale di Reggio Calabria, il 2 luglio 2014, in occasione della festa patronale, la chiesa veniva solennemente ria- perta al culto. (9. Continua) Aldo Capitini

Tra i temi anche la rieducazione della pena «Mai attuata il contesto ambientale che circondava il borgo della Graziella: «un pezzo di fondo nella contrada Asparella alberato di gelsi neri e bianchi» e una terra irrigua «nel Vallone di Prumo, piantata di limoni, bergamotti e celsarelli bianchi» coltivati da Domenico Cuzzula; «due croppalate di terreno franco con due piedi di ulivo, in contrada Testa della Rina» e il fondo «Scafale, alberato con cinque piedi di celsi bianchi».

La casa poi venne acquistata dal benestante reggino d. Giovanni Cartella che continuò a garanti- re il legato della celebrazione delle messe. Alla morte del parroco Pasquale Massara, avvenuta nel 1861, non furono più celebrate messe in occasione della festività di Santa Maria delle Grazie.

Nell’anno 1878, l’arcivescovo Francesco Converti, nel visitare la parrocchia raggiunse la chiesa filiale di Santa Maria delle Grazie il cui beneficio era stato aggregato alla congrua, garantendo le celebrazioni il parroco. Il presule rilevò che una parte del soffitto era crollata e che quindi necessitava di essere sostituita.

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