Avvenire di Calabria

Storie di pendolari nello Stretto e di infinite attese

Storie di pendolari che ogni giorno attraversano lo Stretto di Messina alla meno peggio. La parola d’ordine è “attesa”: a volte infinita, altre estenuante. Il viaggio è problematico

Sergio Conti

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Da grande sogna di diventare una scrittrice e aspira a lavorare nel mondo dell’editoria. È una dei tanti studenti che ogni giorno attraversano lo Stretto, in una e nell’altra direzione, e la sua esperienza dopo due anni di viaggi è emblematica di quanto lontano sia dal compiersi il progetto di area integrata, di città metropolitana che guardia alle due terre – Calabria e Sicilia – come un unico agglomerato. «All’inizio, nelle prime due settimane di università lo scorso anno ho viaggiato da Reggio, ma era un’impresa davvero impossibile» spiega Giovanna. Il perché è presto scritto: sveglia alle ore 6 del mattino, necessario arrivare entro le 7 al porto di Reggio, poiché un quarto d’ora più tardi già si creava una calca insopportabile di pendolari, tutti intenti a salire a bordo dell’aliscafo, che sarebbe partito alle 7.45. E poi una volta approdata a Messina «non riuscivo quasi mai a prendere una coincidenza della navetta per arrivare al Polo situato all’Annunziata». La domanda che si poneva (non solo lei, ma in tanti) era: è così complicato immaginare un sistema integrato di trasporti che preveda magari un unico biglietto e più servizi per gli studenti? «Il tram sempre in ritardo – racconta Giovanna – e quelle lezioni a cui volevi partecipare diventavano un miraggio irraggiungibile. Per non parlare del rientro…». Perché anche al rientro per i tanti studenti che insistono nel Polo del Papardo o dell’Annunziata, ovvero quelli iscritti per esempio a Medicina, Scienze e tecnologie farmaceutiche, Lettere e tante altre facoltà, l’aliscafo non sembra essere una soluzione comoda e praticabile. Quindi partire da Reggio e farvi ritorno è una soluzione che molti studenti scartano. Così anche Alessandra, studentessa di Filosofia, e Simone, iscritto alla facoltà di Lettere a indirizzo storico, hanno scelto di optare per Villa San Giovanni e il traghettamento con la Caronte. Ma loro abitano proprio a Villa, a due passi dagli imbarcaderi, per cui la soluzione non è stata affatto un problema. Anzi. Ma per quelli che abitano a Reggio? Per le storie come quella di Giovanna? «Mia mamma lavora a Palmi e quindi mi dà un “passaggio” lei per prendere la nave – spiega Giovanna –. In ogni caso preferisco fare un tratto in treno, sia all’andata che al ritorno, perché è molto più agevole così che con i mezzi chiamati veloci». Eppure le navette che l’università mette a disposizione degli studenti, pagate con le tasse degli stessi, potrebbero allinearsi alle corse da e per la Calabria, così da garantire a tutti gli spostamenti. Giovanna preferisce dieci minuti di camminata a piedi dall’imbarcadero fino alla sede in modo da arrivare per tempo in facoltà per seguire le lezioni. Ed è storia di ogni giorno. Gabriella, invece, studia Management d’impresa a Messina. «La mia giornata da pendolare universitaria è piuttosto intensa e influenzata dalle condizioni atmosferiche». Per Gabriella, l’orario della sveglia è più comodo, poiché scandito da un orario delle lezioni meno tambureggiante.

Parte con l’aliscafo delle 8:10. «Ho l’abbonamento degli studenti per l’aliscafo – dice – e ciò nonostante devo fare comunque il ticket ogni mattina». Questo è dovuto al fatto che la società di trasporti non assicura il posto, ma solo il prezzo vantaggioso per gli studenti; così nel caso in cui per un giorno non dovesse esserci disponibilità, un abbonato potrebbe rimanere a terra. A Messina alle 8:50 circa «salvo ritardi dei mezzi – si corregge Gabriella –. Il mio dipartimento è abbastanza vicino dal porto, quindi mi sposto a piedi e ci metto una decina di minuti». Il ritorno dal porto di Messina, con l’aliscafo che la riporterà a casa è previsto generalmente per le ore 16 con arrivo a Reggio intorno alle 16:40. «Non trovo grande difficoltà a spostarmi, sono una privilegiata considerata la vicinanza della mia facoltà al porto, gli orari e la frequenza degli aliscafi per quanto mi riguarda sono abbastanza adeguati». Antonella, invece, si è appena laureata alla facoltà di Infermieristica pediatrica con 110 e lode. Per tre lunghi anni ha dovuto pagare una stanza per abitare a Messina, pagando circa 300 euro al mese, spese incluse.

Perché ha dovuto optare per la casa? «Io dovevo fare il tirocinio entrando alle 7.30 del mattino – racconta –. Nella mia facoltà il tirocinio corrisponde al 50% dell’attività curriculare con oltre 600 ore l’anno. Quindi non potevo proprio permettermi di saltare nemmeno un minuto e con i ritardi del tram e gli orari dell’aliscafo non riuscivo mai ad arrivare in tempo». Così, per frequentare il tirocinio e per raggiungere il Policlinico di Messina, Antonella era costretta a svegliarsi alle 5, arrivare a Villa San Giovanni, prendere la Caronte delle 6.20 per iniziare il tirocinio alle 7.30, un’ora dopo insomma.

«Ero distrutta, è incredibile che per una striscia d’acqua che ci separa da Messina dobbiamo imbatterci in tutte queste peripezie» dice Antonella. È durato soltanto due settimane questo sfiancante via vai, giusto il tempo di trovare una casa. Che è costata alla sua famiglia oltre 10 mila euro in tre anni. Per soli tre chilometri di distanza e una manciata di minuti di mancato allineamento degli orari è davvero tanto.

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