Avvenire di Calabria

31 anni fa la strage di mafia che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini e le donne della scorta

Strage di Capaci, a Campobello di Mazara scuole in strada

La prima commemorazione dopo la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro, proprio nel suo paese

*da Avvenire

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Ci sono voluti quasi 31 anni per riconnettere le stragi di mafia che insanguinarono Palermo all’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro. Il 23 maggio 1992, a Capaci, morivano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Solo il 16 gennaio 2023 verrà catturato, sempre a Palermo, l’ultimo capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. Ieri, simbolicamente, sono stati i ragazzi delle scuole di Campobello di Mazara, il paese del Trapanese in cui si nascondeva il superlatitante, a scendere in piazza per ribadire il loro “no” alla mafia.


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Legalità a scuola, 31 anni dopo Capaci

«È importante che i nostri studenti - ha detto ieri il sindaco di Campobello, Giuseppe Castiglione, sfilando con dirigenti e docenti scolastici, insieme alle classi del paese - ricordino il sacrificio dei servitori dello Stato morti per mano della mafia, affinché acquisiscano piena consapevolezza di quanto sia feroce il potere mafioso». Intanto, a Castelvetrano, la scuola è stata intitolata al piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto in ostaggio per 779 giorni dalla mafia, in seguito ucciso e sciolto nell’acido. «È la conferma che questa scuola è un presidio di legalità. Ma con un valore in più che è quello che questo plesso si trova nel quartiere abitato dai Messina Denaro» ha detto la preside Maria Luisa Simanella.

Strage di Capaci, il ricordo di chi c'era

La strage di Capaci riveste un significato particolare per chi era in trincea, nelle settimane delle bombe e delle lacrime, e per chi vide morire amici e colleghi. Oggi quel massacro ha un’eco diversa rispetto al passato. La speranza di una terra libera e degli eroi che lottarono fino al sacrificio, oggi, si specchia nella cattura di uno dei più feroci boss di Cosa nostra. «Quando hanno messo le manette a Messina Denaro – racconta il pm del maxi-processo, Giuseppe Ayala, 78 anni – io ero in dormiveglia. Mi hanno telefonato, ho sentito la notizia e ho fatto un balzo. Ho pensato ai tremendi delitti di cui quell’uomo si era reso responsabile e sono stato colto da un moto di rabbia, per il trentennio di latitanza. È stata una bellissima operazione, su cui non possono esserci né ombre né dietrologie».


PER APPROFONDIRE: Trentennale Capaci, un martirio che segnò il risveglio dei cittadini onesti


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