Avvenire di Calabria

Ma siamo sicuri che il problema sia il ''numero'' dei cittadini extracomunitari nel nostro Paese? I dati della Caritas dicono altro

Stranieri in calo, ma la retorica politica falsa i numeri reali

Federico Minniti

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Sono stati anni intensi per la Caritas italiana. Ore, giorni, mesi di servizio per salvaguardare la dignità di ogni uomo salpato dalle coste africane del Mediterraneo per giungere sulle banchine dei porti italiani. Lucia Forlino, operatrice della Caritas, ha vissuto questo tempo di impegno accanto ai tantissimi volontari disseminati in tutta Italia. Adesso parte una nuova sfida, in virtù, dei grandi cambiamenti annunciati dall’asse Lega–M5s.

«Per noi si tratta di un nuovo inizio: è assolutamente urgente che si provi ad abbassare i toni nel dibattito politico rispetto all’immigrazione. Va arginata la violenza e l’ostilità nei confronti degli stranieri presenti sul nostro territorio». Una necessità che parte dall’analisi dei numeri “reali” del fenomeno migratorio: «In realtà stiamo registrano un calo considerevole degli sbarchi e, tra l’altro, una fortissima diminuzione del numero dei residenti stranieri sul nostro territorio rispetto agli anni precedenti. Viviamo un allarmismo inutile ». Un nuovo inizio, ma quali gli upgrade necessari per solidificare il sistema dell’integrazione: «Da qualche anno stiamo lavorando alla “buona accoglienza” in ottanta diocesi di Italia, dove questo processo è mediato da famiglie, istituti religiosi e appartamenti privati messi a disposizioni dalle parrocchie con un accompagnamento mirato da parte di tutor specializzati».

In tal senso c’è una storia che arriva dalla diocesi di Saluzzo, suffraganea di Torino, in cui la Caritas locale ha avviato due progetti nazionali sul proprio territorio. Virginia Sabati e Alessandro Armando ci raccontano della loro esperienza con i “corridoi umanitari” e l’ospitalità di una famiglia eritrea, profughi politici, nella comunità diocesana del provincia cuneese e del progetto “Presidio” che riguarda i braccianti stranieri vittime del sistema perverso del caporalato.

Proprio rispetto a questo fenomeno, quanto fatto a Saluzzo rappresenta una “buona prassi” che potrebbe essere mutuata per la tendopoli di San Ferdinando ritornata al centro delle cronache nazionali nei giorni scorsi: «Si tratta di un progetto avviato già nel 2014 e, oggi, rappresenta un aspetto propulsivo per le Istituzioni del basso Piemonte che stanno cercando una soluzione per i lavoratori stagionali della raccolta delle pesche». La forza dell’iniziativa è data proprio dal saper fare “rete”: «Stiamo lavorando nei tavoli istituzionali per creare delle forme di accoglienza legale, superando il fenomeno delle tendopoli– ghetto, e per sviluppare un sistema di politiche attive del lavoro trasparenti».

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