
Politiche Sociali, l’Aipd ascoltata in Commissione a Reggio Calabria
L’Associazione italiana persone down (Aipd) è stata ascoltata dalla Commissione comunale della Politiche sociali a Reggio Calabria.
La testimonianza del ricercatore che da Reggio Calabria, mesi fa, ha raggiunto la Turchia su invito del vicario apostolico dell’Anatolia. La notte fra il 5 e 6 febbraio dormiva nell’edificio contiguo alla Cattedrale di Iskenderun diventata famosa per le macerie. Enrico Tromba racconta gli attimi di terrore vissuti durante e dopo il violento terremoto.
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«Nel bel mezzo della notte la terra ha cominciato a tremare. Sette terribili secondi, al termine dei quali, il primo istinto è stato recarmi verso la chiesa. Ho aperto la porta comunicante tra l’episcopio e il tempio, dove qualche ora prima avevamo pregato. Sopra di me ho visto il cielo e le stelle». Così il reggino Enrico Tromba, docente dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Reggio Calabria.
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Storico e ricercatore, Tromba si trova a Iskenderun, sede del vicariato dell’Anatolia. Ed era lì anche nella notte fra il 5 e 6 febbraio scorso, quando il violento terremoto di magnitudo 7.8 ha distrutto la Cattedrale dell’Annunciazione e parte dell’episcopio dove alloggiava, provocando tutt’intorno, al confine tra Turchia e Siria, morte e distruzione. Raggiunto via Skype, ci ha raccontato l’esperienza vissuta.
Ancora tanto scosso. È stato davvero un brutto momento quello che io e altri collaboratori della diocesi hanno vissuto. La cosa che più rattrista, però, è il dolore che si sta vivendo attorno a noi, per le gravi perdite che la popolazione ha subìto.
Dal maggio dello scorso anno ho iniziatouna collaborazione con il vescovo Paolo Bizzetti, vicario apostolico dell’Anatolia. Faccio parte di un gruppo di professionisti e giovani che, insieme al presule, stanno cercando di riorganizzare la diocesi che territorialmente ha una superfice più grande dell’Italia, ma conta poco più di quindici religiosi.
Tanta paura. Erano circa le 4.30 del mattino (2.30 in Italia). Mi sono svegliato all’improvviso. La stanza ha cominciato a tremare, poi un forte boato. Non so quanti secondi sia durato, ma è stato terribile. D’istinto ho preso lo zaino e sono subito uscito. Ho incontrato Luca, un amico italiano che lavora qui con me, e poi, un altro assistente. Abbiamo raggiunto il piano terra in cerca di padre Antuan Ilgit, che è il vicario del vescovo, e delle suore per sincerarci delle loro condizioni.
Quando ho visto che la chiesa, dove alle 19.30 della sera precedente avevamo celebrato Messa, nei fatti non c’era più. Ho ringraziato il Signore per averci preservato.
Tutta la zona è stata colpita. Saprete sicuramente della città di Antiochia che dista circa 50 chilometri da qui. La sera stessa della prima scossa abbiamo fatto, invece, un giro per le vie di Iskenderun. Anche qui, mezza città è stata rasa al suolo. Davvero tanto dolore.
Già nelle ore successive al sisma abbiamo accolto, nell’ala dell’edificio rimasto in piedi, tra le 80 e 90 persone di ogni fede. Lo stesso abbiamo fatto dopo la forte scossa di lunedì scorso. Qui riceviamo circa 30 persone al giorno a cui doniamo vestiti e pasti. Circa 300, invece, i pasti distribuiti in strada.
Beh, innanzitutto per motivi affettivi. Qui ho trovato un’altra famiglia e, sentendomi parte di questa tragedia, non potevo sottrarmi dal prestare aiuto, insieme agli altri amici del gruppo.
In tanti, da Reggio e dall’Italia, mi hanno chiamato. Chiedono cosa possono fare. Con il vescovo Bizzetti abbiamo pensato ad un conto corrente. Ma c’è anche da ricostruire.
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Un’idea è organizzare, per i prossimi mesi, dei campi lavoro di una settimana o dieci giorni per chi dall’Italia volesse spendersi in prima persona per questa gente che, ancora per molto, porterà il peso di quanto successo.
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