Avvenire di Calabria

Giornata mondiale del malato, "Il mio lavoro nella vigna del Signore": racconti di fede e di vocazione alimentate tra i corridoi dell’ospedale

Testimoni di cura e assistenza, il volontariato è «missione»

Tatiana Muraca

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Domenica si è celebrata la 43esima Giornata nazionale per la vita e oggi ricorre la Giornata mondiale del malato. Due sfaccettature dell’umanità che spesso si incrociano e che sono quotidianamente davanti agli occhi dei volontari della Cappellania del Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria. Sotto la guida spirituale di don Stefano Iacopino, questi angeli ogni giorno sperimentano sulla propria pelle il significato profondo della vita e della malattia, e hanno voluto rilasciare le loro testimonianze di anni di missione, ad oggi momentaneamente frenata e stravolta dalla pandemia. Umberto Parisi ha iniziato il servizio di volontariato al Gom tre anni fa, spinto dalla sua esperienza in ambito familiare, fatta di cura e assistenza nei confronti dei genitori malati. «Già in famiglia, toccando il malato ho avuto la sensazione di toccare la carne di Cristo. È ciò che provo con i ricoverati». Un faccia a faccia quotidiano con le persone sofferenti che aspettano di ricevere la comunione con Cristo e che tramite un semplice contatto riscoprono sentimenti di commozione e speranza. L’esperienza di Umberto è per adesso in stallo a causa delle limitazioni anti contagio, ma questo non impedisce a lui e agli altri volontari di pregare insieme nella Cappellania del Gom, in attesa di sentirsi nuovamente «gratificato nell’incontro con i più sofferenti». Raffaella Brancati è infermiera e volontaria ospedaliera. La sua esperienza da volontaria nasce nel contesto del Gom nel luglio del 2012 e da 9 anni è in cammino come ministro della comunione e della consolazione. «Ho sentito la chiamata nel contesto ospedaliero, dove già lavoro – ci dice - Una cosa è la professione, però, tramite cui puoi portare la tua presenza cristiana in un certo modo, e un’altra è il servizio da volontaria». Raffaella ha fatto esperienza anche nelle missioni in Africa ed è proprio nei Paesi più svantaggiati del mondo che ha compreso fino in fondo l’uguaglianza esistente tra ogni essere umano, sia nella vita che nella sofferenza. Seguendo il monito di papa Francesco, dunque, Raffaella si fa prossima al proprio fratello, prendendosene cura in una «ginnastica di fede» e di apertura totale all’altro. «In questi mesi, abbiamo avuto la possibilità di incontrare in ospedale e in Cappellania solo medici ed infermieri; loro stessi hanno necessità di trovare conforto per portarlo agli altri. La pandemia ha generato anche miracoli riferiti alla cura e all’assistenza, che si stanno verificando in modo silenzioso, ma ci sono». Il volontario alimenta la sua vocazione nei diversi modi di approcciarsi al malato, che sia una persona a fine vita oppure ad inizio vita, così come sono le mamme che mettono al mondo i figli; persone che abbiano appena ricevuto la notizia di una patologia invalidante oppure che siano alla fine della battaglia. «Ti fai compagno di cammino – continua Raffaella - In ogni persona c’è sete di infinito, che solo Gesù può colmare e tu ti fai strumento di grazia. In questo momento, poi, tutti noi facciamo preghiera di intercessione invocando la fine della pandemia». Giovanna Ciancia vanta quasi 40 anni di volontariato in ospedale. Un cammino di fede iniziato da giovanissima, quando si è da subito innamorata della missione. «Per me, fare la volontaria è lavorare nella vigna del Signore. Come dico sempre a Gesù, non lo ringrazierò mai abbastanza per questo dono che mi ha dato, alimentato con l’amore ed il silenzio». Ha cominciato pian piano, Giovanna, portando l’eucarestia e rimanendo sempre vicina agli ammalati, perché loro «percepiscono la vicinanza anche solo con uno sguardo. Ho vissuto all’interno dei vari reparti, con bambini, giovani e adulti affetti da diverse patologie ed anche in fase terminale. Nel silenzio, però, succedevano i miracoli: il malato ti aspetta, soprattutto coloro che sono costretti a fermarsi per parecchio tempo in ospedale». Quell’ospedale che per Giovanna è come una casa di cui non può più fare a meno, e dove ogni giorno, anche se per adesso lontana dagli ammalati, si reca per pregare. «Dovendo stare lontana dai reparti - conclude - nella preghiera ho trovato la pace».

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