Avvenire di Calabria

Adolescence, un teen drama al confine tra innocenza e crimine

Tra le ultime proposte della piattaforma Netflix troviamo la miniserie britannica Adolescence, che sta generando un certo clamore

di Silvia Rossetti

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Nell’esistenza dei nostri giovani siamo degli adulti significativi? E quanto sappiamo delle profondità e degli abissi delle loro vite?

Da qualche anno a questa parte i cosiddetti teen crime drama stanno riscuotendo un grande successo di pubblico, soprattutto tra gli appassionati delle serie tv. Da Elite a Riverdale, da 13 Reasons Why a Cruel Summer, il mix proposto intreccia sapientemente il pathos dei drammi adolescenziali (amori, gelosie, dipendenze, bullismo, disturbi del comportamento) con l’adrenalina del mistero e del crimine. Le vicende intrigano perché i tabù della trasgressione, della perversione e del misfatto si contrappongono simmetricamente alla presunta innocenza dell’età giovanile, trasformandosi in una sorta di deadline del passaggio tra adolescenza ed età adulta.



Tra le ultime proposte della piattaforma Netflix troviamo la miniserie britannica Adolescence, che sta generando un certo clamore. Al centro della narrazione c’è Jamie Miller, un tredicenne come tanti, accusato dell’omicidio di una sua coetanea. Nel dipanarsi della vicenda, lo spettatore scopre che il ragazzo vive in un contesto “ordinario” e appartiene a una famiglia “normale”, con genitori magari un po’ distratti, ma premurosi e attaccati ai propri figli. Ciò che colpisce è la “faccia d’angelo” del ragazzo, il corpo gracile e la fisionomia ancora molto infantile. Dettagli cinematografici finalizzati a creare un forte contrasto con la gravità del crimine di cui è accusato e a generare una potente tensione narrativa.

La narrazione del teen drama

Nel corso delle indagini gli investigatori hanno dei colloqui con gli insegnanti, che si mostrano quasi in balìa dei propri studenti, e con altri ragazzi che manifestano tratti di aggressività e inquietudine. Il quadro, poi, si completa quando lo sguardo degli agenti di polizia e della psicologa che seguono il ragazzo si sofferma sulla vita social di Jamie. Si fa riferimento, così, alla manosphere, ovvero una webcommunity dove si coltiva una certa idea di mascolinità, misoginia e avversione nei confronti del sesso femminile. In questo contesto si fa cenno anche ai cosiddetti incel, per esteso involuntary celibacy, ovvero maschi rifiutati dalle donne, di cui pare che il piccolo Jamie si senta parte.

Il successo della serie

La serie ha riscosso molti consensi per il modo innovativo e coinvolgente in cui è stata realizzata, per la credibilità degli interpreti e per la somiglianza della vicenda con alcuni terribili e purtroppo reali fatti di cronaca recente. Per quest’ultima ragione qualcuno ha avanzato la proposta di mostrarla nelle aule scolastiche per trarne spunti di dibattito e di riflessione. Siamo certi, però, che l’approfondimento di temi educativi tanto complessi e delicati passi attraverso la proiezione di una serie tv che si concentra su un fatto gravissimo e pertanto “straordinario”? Non si corre così il rischio di banalizzare alcuni temi, tra l’altro nella serie soltanto accennati (come appunto il rapporto dei giovanissimi con i social, oppure il fenomeno del cyberbullismo), e di estremizzare il focus delle criticità dell’età adolescenziale?

I commenti degli esperti

C’è poi da soffermarsi sul perché la nostra società negli ultimi anni avverta così fortemente il bisogno di sottoporre i propri nodi al filtro della spettacolarizzazione… A questo proposito il pedagogista Daniele Novara, dalle pagine dal Corriere della Sera, ha espresso perplessità: «Lo spettacolo non deve prevalere sulla comprensione del mondo adolescenziale». Certi temi dovrebbero suscitare sgomento e non “intrattenimento”. Le serie hanno finalità che non possono essere definite propriamente educative, sono in grado certamente di invitare alla riflessione ma a volte partendo da una premessa esasperata si può giungere a conclusioni fuorvianti.


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Lo psicologo Matteo Lancini ai microfoni di Repubblica ha dichiarato che «l’aspetto più importante di Adolescence (…) non è Internet, non è il cyberbullismo, non sono i social. È la mancanza, in tutta la serie Netflix, di un adulto significativo». Ecco, forse quest’ultima osservazione potrebbe divenire un interrogativo guida all’interno dei nostri percorsi educativi. Nell’esistenza dei nostri giovani siamo degli adulti significativi? E quanto sappiamo delle profondità e degli abissi delle loro vite?

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