Inizia con questo articolo una serie di approfondimenti dedicata alle “buone pratiche” che rispondono ai problemi del lavoro e dell’occupazione in vista dell’appuntamento di Cagliari. Tra le tante aziende che hanno già risposto ai Cercatori di LavOro, raccontiamo la storia di Palm, Lanificio Leo e Agricoltura Capodarco. Raccogliere e diffondere le tante buone pratiche che, a livello aziendale, territoriale e istituzionale, stanno già offrendo nuove soluzioni ai problemi del lavoro e dell’occupazione. È uno dei “quattro registri comunicativi” che caratterizzano il percorso di avvicinamento alla prossima Settimana sociale, in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre sul tema «Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale».
Tante le storie di buone pratiche che sono state segnalate finora dal progetto Cercatori di LavOro, nato con lo scopo di offrire uno sguardo sul territorio dando ai vescovi e alle comunità ecclesiali locali elementi concreti di speranza e spunti creativi per affrontare l’assenza di lavoro e la povertà nelle sue diverse sfaccettature sociali, economiche e relazionali. Sostenibilità. «Sano, sistemico ed etico». Sono le caratteristiche del pallet (imballaggio in legno) prodotto dalla Palm, azienda del mantovano «nata nel 1980 dopo la prematura scomparsa di papà, che era un falegname». A raccontare l’esperienza quasi trentennale di questa realtà è Primo Barzoni, fondatore con i fratelli dell’azienda che oggi produce 2,5 milioni di pallet l’anno contando sull’apporto di 40 collaboratori. «Abbiamo dedicato gli ultimi 20 anni a creare una filiera virtuosa che parte dalla selezione di fornitori e clienti che rispettano l’approccio di una gestione corretta e sostenibile dei criteri sociali, ambientali ed economici».
Una scelta fatta per contrastare lo sfruttamento di natura e persone: «In alcuni Paesi – chiarisce – utilizzano il commercio del legno e il taglio illegale per alimentare economie scorrette”. “In azienda – aggiunge – noi abbiamo sempre fornito occupazione a tempo indeterminato, tenendoci alla larga da lavoro irregolare e precariato». Se alla base “c’è un’etica cristiana”, la Palm ha voluto che «Il pallet diventasse uno strumento per promuovere la sostenibilità». L’azienda crede anche nell’economia circolare: «Dall’esperienza di inserimento e avviamento al lavoro di persone disabili con il ‘Progetto H’ è nata nel 2003 la cooperativa sociale Palm Work&Project che recupera le eccedenze dei pallet e grazie a design e upcycling crea nuovi componenti d’arredo per casa e ufficio».
Resilienza. «La nostra realtà è un tipico caso di resilienza». Così Emilio Leo sintetizza la storia del Lanificio Leo, «la più antica fabbrica tessile calabrese – racconta – fondata dal mio bisnonno nel 1873 e nella quale per 100 anni abbiamo lavorato e trasformato la lana merinos della Sila fino alla crisi che negli anni ‘70 ha colpito tutto il settore». «Dagli anni ‘90, facendo ricorso a strumenti più culturali uniti a una grande attenzione a comunicazione e qualità del prodotto – prosegue Leo -, è iniziato il recupero del vecchio impianto, utilizzandolo sia come museo d’impresa sia come laboratorio di sperimentazione. Dopo 10 anni di prove e festival culturali, nel 2008 siamo ripartiti imprenditorialmente creando gradualmente le condizioni per favorire occupazione sul territorio». Il lanificio ora produce tessile per la casa e piccoli accessori moda, «con un approccio contemporaneo e l’attenzione all’estetica. Una realtà che ora può cominciare ad internazionalizzare». La trasformazione, afferma Leo, «ha consentito di portare avanti la storia dell’azienda, dare lavoro a un certo numero di persone e farci diventare un centro turistico attrattivo per la visita allo stabilimento. Inoltre, l’attività culturale della fabbrica ha generato altre realtà sociali d’impresa ». «Siamo convinti – aggiunge Leo – che non possiamo prescindere dal luogo e dalle persone con cui portiamo avanti la nostra azienda, perché la nostra storia vorrebbe sovrapporsi e aiutare quella della comunità. Un modello – conclude – che può essere esportato, con le dovute personalizzazioni». Integrazione. «Lo strumento è l’agricoltura, l’obiettivo e la motivazione sono l’accoglienza e l’integrazione sociale».
Così Salvatore Stingo, presidente della cooperativa Agricoltura Capodarco, presenta la realtà di questa azienda agricola insediata a Grottaferrata dal 1978 per dare allora lavoro a persone con disabilità fisica accolte nella comunità fondata da don Franco Monterubbianesi. «Oggi – spiega il presidente – lavoriamo principalmente con ragazzi con disabilità mentali attraverso l’accompagnamento al lavoro e i corsi riabilitativi». L’azienda agricola conta su due poli: a Grottaferrata si è sviluppata la parte vitivinicola mentre a Roma, nella “Tenuta della Mistica”, ci sono gli orti. Sui 40 ettari di terreno complessivi si producono ortaggi, vino, olio, miele. «Vendiamo direttamente i nostri prodotti, tutti biologici, e facciamo anche ristorazione agrituristica , continua Stingo, sottolineando che “facciamo anche un lavoro con gli immigrati sul fronte della formazione» Una realtà, quella di Agricoltura Capodarco, che si dimostra economicamente sostenibile grazie a “filiera corta, trasformazione e ristorazione”, aggiunge il presidente, precisando che “nel 2000 abbiamo compiuto la scelta di renderci autonomi dal finanziamento del sociale”. La cooperativa oggi conta su “40 soci dipendenti, compresi i soggetti svantaggiati che lavorano con noi”, a cui si aggiunge nei periodi di particolare carico lavorativo una ventina di altri lavoratori.