Avvenire di Calabria

Era il 9 maggio 1993 quando papa Wojtyla pronunciò la celebre scomunica ai mafiosi alla Valle dei Templi

Trent’anni fa la scomunica ai mafiosi di papa Wojtyla nella Valle dei Templi

Un discorso accorato, quello di Giovanni Paolo II, sviluppato durante il periodo stragista voluto da Cosa Nostra

di Redazione Web

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Era il 9 maggio 1993 quando papa Wojtyla pronunciò la celebre scomunica ai mafiosi alla Valle dei Templi. Un discorso accorato, quello di Giovanni Paolo II, sviluppato durante il periodo stragista voluto da Cosa Nostra.

Scomunica ai mafiosi, le parole di papa Wojtyla alla Valle dei Templi

A braccio: così le parole di Giovanni Paolo II contro i mafiosi, espressione della “cultura della morte”, vennero spontanee dal cuore. Nella Valle dei Templi, il 9 maggio 1993, il Papa santo si lasciò ispirare da quella folla che in Lui vedeva speranza perché riflesso della luce di Dio. Aggrappato al Crocifisso, unico balsamo per sanare le ferite di vite spezzate dalla mafia, Wojtyla tuonò contro i trafficanti di morte.

«Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!  Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!»


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Mai un papa – prima di Karol Wojtyla - si era mai rivolto con tanta forza profetica contro la mafia e qualsiasi altra forma di violenza. E tantomeno un semplice vescovo o qualsiasi altro esponente delle gerarchie ecclesiali, salvo qualche rara eccezione come il cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo (che ebbe parole di fuoco il giorno dell'assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa) o anonimi sacerdoti come don Pino Puglisi, il parroco palermitano ucciso a cinquantasei anni dalla mafia per il suo impegno a favore dei giovani il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno. Con papa Wojtyla tutto cambia.

La svolta, una domenica mattina nella Valle dei Templi di Agrigento, durante la Messa celebrata dal pontefice nel suo secondo pellegrinaggio in terra di Sicilia, dove pronuncerà, a braccio, forse il più memorabile discorso dell'intero pontificato destinato a cambiare la storia della pastorale ecclesiale nei confronti del potere mafioso e delle organizzazioni malavitose non solo nell'isola siciliana, ma in tutto il meridione (camorra e 'ndrangheta in testa) e in qualsiasi altra parte del mondo.

Quel 9 maggio del '93 – una splendida domenica mattina di venticinque anni fa illuminata da un sole ormai estivo che rese ancora più bella e colorata la suggestiva spianata archeologica agrigentina – è la data della seconda tappa del nuovo pellegrinaggio di Karol Wojtyla in Sicilia, che già aveva visitato per la prima volta, a Palermo, nel 1982, l'anno dopo l'attentato in piazza San Pietro dove fu gravemente ferito dal terrorista turco Alì Agca.

Un pellegrinaggio di tre giorni, dal sabato 8 al lunedì 10 maggio, iniziato con la visita a Trapani e concluso a Caltanissetta, con decine di incontri, celebrazioni, discorsi, in mezzo ad ali di folla festanti che tributano al papa polacco una accoglienza calorosa ed entusiastica ed a tratti anche commovente, tanto – come confiderà Wojtyla in seguito ai suoi collaboratori – da farlo sentire uno di loro, un papa “siciliano”.

Un sentimento che lo accompagnerà per tutta la durata del viaggio e che nella indimenticabile tappa alla Valle dei Templi gli darà la forza per pronunziare quello che sarà universalmente ricordato come la più forte, incisiva, severa condanna papale contro la mafia, un anatema, senza se e senza ma, lanciato per mettere all'indice le occulte forze del male che opprimono la Sicilia e tutte le altre forme di violenze malavitose presenti altrove.


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Si è spesso raccontato – e con ragione – del contributo di San Giovanni Paolo II alla caduta dei muri e al ritorno delle libertà in tante Nazioni una volta oppresse dai regimi totalitari. Le parole da lui pronunciate nella Valle dei Templi hanno un significato analogo per la Sicilia; come il suo Magistero ha animato la resistenza pacifica al totalitarismo comunista, così ha concorso alla riscossa civile che si è avviata ed è cresciuta a partire da quegli anni nell’Isola.

Quando egli traccia la linea di confine fra il popolo siciliano “attaccato alla vita” e i colpevoli della “civiltà della “morte”, egli indica elementi di somiglianza fra la mafia e i regimi totalitari.

L’una e gli altri pretendono di regolare nei dettagli la vita di coloro verso i quali estendono il potere, senza che lasciare nulla al di fuori. L’una e gli altri applicano le sanzioni più dure per ogni disobbedienza, e soprattutto quando qualcuno manifesta il desiderio di vivere in libertà. L’una e gli altri conoscono rituali, gerarchie del male, tecniche di seduzione e di intimidazione, e anzitutto l’autoconsegna dell’affiliato all’organizzazione, siglata dal sangue.

L’una e gli altri mortificano anche fisicamente le persone con cui hanno a che fare, e riducono in miseria le terre nelle quali operano. L’una e gli altri cercano il consenso sociale, ben consapevoli di non reggere a lungo facendo esclusivo affidamento sulla violenza e sulla minaccia.

L’una e gli altri utilizzano realtà in sé buone, distorcendone il significato e la sostanza: alle grandi manifestazioni di piazza o negli stadi degli Stati totalitari, che surrogano la voglia naturale di esprimere comunitariamente un ideale, corrispondono per le realtà mafiose la presenza visibile e rispettata nelle processioni o nei luoghi di devozione.


PER APPROFONDIRE: Il martirio di don Pino Puglisi: ha combattuto la mafia con l’Amore


Una reliquia del Santo ad Agrigento

La teca, incastonata in una icona, custodisce una reliquia ex sanguine di San Giovanni Paolo II. Il dono viene dal cardinale Stanislaw Dziwisz, segretario di Papa Wojtyla, a 30 anni dalla visita ad Agrigento nella quale si scagliò contro l mafia e i mafiosi.

La teca è stata consegnata nei giorni scorsi da Danylo Tkanko e Omar Giampaolo Mohamed Ahmed, partiti da Cracovia con la reliquia, all’arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano, prima della celebrazione eucaristica in cattedrale e sarà custodita in episcopio.

Autore dell’icona è un artista ucraino, Roman Vasylyk, professore di arte sacra, che ha conosciuto personalmente San Giovanni Paolo II.

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