Avvenire di Calabria

La denuncia di Giordano della Cisl Fp «Si pagano le assenze di presidi industriali»

Al sud resiste il mito del posto «garantito»

Francesco Bolognese

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I dipendenti pubblici sono un peso o una risorsa? I cosiddetti «civil servant » costituiscono in diversi Paesi un investimento, mai un costo, a patto di in- vestire sulle persone, sui talenti. Operazione semisconosciuta nel Belpaese. L’istantanea curata e divulgata da Impresalavoro, su elaborazione dati Istat e della Ragioneria generale dello Stato, pone più di un legittimo interrogativo. «In rapporto alla popolazione residente i 3 milioni e 142mila dipendenti pubblici italiani sono inferiori a quelli delle altri grandi economie europee ma la loro distribuzione sul territorio nazionale non è affatto omogenea, nemmeno rispetto al numero degli occupati». In ordine a quest’ultimo aspetto, «la classifica elaborata da ImpresaLavoro cambia piuttosto nettamente se si prende in esame il rapporto tra il numero dei dipendenti pubblici e quello degli occupati». Il posto fisso non solo attrae, ma per la maggior parte dei giovani del Mezzogiorno appare come l’unica ancora di salvezza per restare nel proprio territorio di origine. Infatti «al primo posto troviamo la Calabria, con il 22,03% (più di 1 su 5). Subito dietro si colloca la Valle d’Aosta, con il 21,01% degli occupati che vengono retribuiti con denaro pubblico. In cima a questa classifica compaiono principalmente le regioni del Mezzogiorno, con un’incidenza dell’impiego pubblico di gran lunga superiore alla media nazionale (13,99%): Sicilia (19,95%), Sardegna (19,30%), Molise (18,06%), Campania (17,89%), Basilicata (17,87%) e Puglia (17,42%) seguite a distanza ravvicinata dal Friuli Venezia Giulia (16,62%) che registra uno dei valori più alti di tutto il Centro– Nord. In coda alla classifica troviamo invece Lombardia (9,44%), Veneto (10,80%), Emilia– Romagna (11,59%) e Piemonte (11,90%)». Quale lettura dare a questi dati, lo abbiamo chiesto al segretario della Cisl funzione pubblica di Reggio Calabria, Luciana Giordano. «Non può stupire la notizia che in Calabria un occupato su cinque sia un dipendente pubblico, vista la carenza di ulteriori sbocchi occupazionali nella nostra Regione. Industria, artigianato, commercio, edilizia, turismo sono fermi al palo e non riescono a soddisfare la richiesta di lavoro da parte di tanti giovani calabresi e anche meno giovani. Diventa dunque un fatto naturale investire sul sapere e sulla conoscenza, proseguendo gli studi, dopo il diploma ed arricchendo così il proprio bagaglio culturale con diversi titoli accademici che rendono i nostri giovani competitivi nei concorsi pubblici. È così dagli anni ’80 e anche prima, il Nord offre lavoro nelle imprese, nelle fabbriche, nei servizi, nel turismo, mentre il Sud immette sul mercato talenti e capacità che possono rientrare nel nostro territorio, quando ci riescono, solo attraverso la Pubblica Amministrazione. Sul dato rappresentato incidono tantissimo anche le politiche attuate negli anni passati che hanno tentato di risolvere il problema della disoccupazione in Calabria con lo strumento degli ammortizzatori sociali, creando forme di lavoro flessibile, quali gli LSU e LPU o altre forme di precariato che alla fine si sono riversate nel pubblico impiego».

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