Avvenire di Calabria

Cosa è cambiato nel corso dei 208 anni di storia della Benemerita, ma anche le nuove emergenze

Carabinieri, Guerrini: «Il disagio minorile, la nuova priorità»

Parla il comandante provinciale di Reggio Calabria: «Oggi i soli strumenti repressivi non bastano, la nostra attenzione è anche verso le categorie vulnerabili»

di Francesco Chindemi

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A Reggio Calabria e non solo, cosa è cambiato nel corso dei 208 anni di storia dell'Arma dei Carabinieri, ma anche le nuove emergenze da affrontare non più solo con strumenti repressivi. Ne abbiamo parlato con il comandante provinciale reggino, il colonnello Guerrini.

«Non solo nelle fiction, il binomio Chiesa - Benemerita, appartiene proprio alla storia dell’Arma». Il comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, il colonnello Marco Guerrini, ripercorre oltre due secoli di vita del corpo a cui appartiene. «La prossimità - afferma - è il tratto distintivo che accomuna parrocchia e stazione, pur nella diversità del servizio reso, comunque accanto alle comunità».


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Il 5 giugno i Carabinieri hanno festeggiato l’anniversario della loro fondazione. Lo fanno, invece, oggi a Reggio Calabria, con una sobria cerimonia ospitata presso la sede del Comando provinciale dei Carabinieri. «Duecento otto anni durante i quali, oltre a testimoniare la presenza dello Stato anche nei luoghi più periferici, l’Arma ha continuato ad essere un importante presidio di legalità, non solo sotto il profilo della repressione», afferma Guerrini.

Una presenza, quella dei Carabinieri, che ha anche un fine educativo?

In un certo senso, possiamo affermare di sì. Del resto, la promozione della cultura della legalità è tra le nostre finalità. I nostri comandanti di stazione, ma anche ufficiali, periodicamente incontrano i giovani delle scuole, non solo dialogando, ma ponendosi in ascolto di essi. Dobbiamo far comprendere che la legalità non è un concetto astratto, ma ha a che fare con il rispetto dell’altro. I segnali di disagio che coinvolgono le fasce più giovani sono numerosi anche dalle nostre parti. Ecco perché, durante i nostri incontri, parliamo spesso di bullismo o altre forme di devianza minorile.

Insomma, la criminalità organizzata non è più la sola priorità?

In questi due anni trascorsi a Reggio Calabria, nonostante la pandemia, non sono mancati brillanti risultati, grazie alla qualità del nostro personale e al lavoro in sinergia con la magistratura. Ma accanto ai fenomeni macroscopici di cui questa terra, al pari di altre, soffre, ce ne sono tanti altri che meritano la stessa attenzione. Il disagio giovanile è proprio tra questi. Come Arma dei Carabinieri, la nostra presenza diretta sul territorio, ci consente di percepire rapidamente tali segnali e di affrontarli non solo attraverso gli strumenti repressivi.

In che modo, allora?

Come ho già detto, il nostro compito è anche mettersi in ascolto dei bisogni che arrivano dalla realtà in cui operiamo. Le nostre stazioni e i nostri comandi sono luoghi dove anche i giovani possono rivolgersi per chiedere aiuto, nel caso in cui si dovessero trovare in difficoltà. Il mettersi in ascolto sembra ormai elemento distintivo dei Carabinieri.

Lo abbiamo visto, ad esempio, nel caso delle violenze di genere.

Proprio così. L’attenzione verso le vittime particolarmente vulnerabili è un altro dei punti di interesse dei focus operativi che nel tempo ci siamo dati. In partenariato con il Soroptimist, ad esempio, abbiamo creato delle stanze di ascolto, per rompere la formalità degli uffici di polizia e facilitare l’interlocuzione con le vittime di abusi. Ma c’è tutta una rete di esperti in uniforme, formatasi ad hoc, distribuita su tutto il territorio nazionale, sensibile alle richieste di aiuto e pronta a fornire la giusta assistenza. Insieme a questo, per fortuna, è aumentata la tendenza denunciare. Rispetto a un tempo, la gente si fida di più di noi.

L’Arma dei Carabinieri come ha affrontato a Reggio Calabria gli ultimi due anni segnati dalla pandemia?

Proprio l’elemento della prossimità ha giocato un ruolo importante nel nostro rassetto organizzativo. Le stazioni hanno dato supporto nel monitoraggio dei casi Covid, ma non si sono tirate indietro dall’aiutare chiunque si trovasse in difficoltà a causa delle restrizioni sanitarie. Un esempio è il protocollo d’intesa con Poste italiane. Con apposita delega, i nostri militari hanno recapitato le pensioni direttamente a casa degli anziani. Lo stesso, abbiamo fatto per i beni di prima necessità.

Anziani che rientrato proprio tra le categorie vulnerabili.

L’operazione “Transilvania”, grazie alla quale abbiamo, nei giorni scorsi, assicurato alla giustizia un gruppo di stranieri che circuiva persone in là con gli anni, in particolare uomini, nella Locride, è la conferma di quanto gli anziani siano soggetti vulnerabili. È un’indagine, inoltre, che rende l’idea della capillarità dell’Arma dei Carabinieri, anche nella nostra provincia di Reggio Calabria. Di una presenza che dà fiducia e speranza, anche in quei contesti dove storicamente le relazioni tra forze dell’ordine e cittadini sono difficili.

A proposito di rapporti: cosa mi dice del rapporto tra Carabinieri e Chiesa. Appartiene solo alla fiction “Don Matteo”?

Non appartiene solo all’immaginario collettivo, è un rapporto assolutamente coerente con quella che è stata per anni la struttura sociale del nostro Paese. È un binomio storico, ma ancora attuale. Nei paesi, sia la stazione dei carabinieri che la parrocchia rimangono tra i principali punti di riferimento per chi è in cerca di una porta a cui bussare in caso di difficoltà. Noi non curiamo l’aspetto spirituale, ma è frequente che i due piani si intersechino quando si tratta di rispondere ai bisogni della gente.


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La finalità è comune e coinvolge anche tutte le altre componenti della società. Fare rete, pur se appare scontato, è più che mai fondamentale. È il modo migliore per contribuire a diffondere la cultura della legalità che è, poi, il migliore degli strumenti di prevenzione oggi in nostro possesso.

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