Avvenire di Calabria

Casa Don Italo: faro di solidarietà e accoglienza per gli ultimi

Nata dal carisma dell'indimenticato sacerdote, una storia lunga trent'anni

di Redazione Web

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Casa Don Italo nasce nel 1994, circa quattro anni dopo la morte di don Italo, ma il suo messaggio di impegno verso il prossimo è sempre vivo nella nostra città. Sono le persone più emarginate a stare a cuore a don Italo, quelle che non hanno voce per esprimere la loro sofferenza e che vengono tenute ai margini di una società intenta a non curarsi di coloro che restano indietro nella corsa al benessere economico, come se la povertà e la malattia fossero una colpa.

La Casa fu chiamata “Casa Famiglia Don Italo Calabro” per evidenziare che in essa erano vivi i valori che don Italo ha testimoniato nella sua vita di sacerdote: il valore della vita come dono di Dio, la sua centralità, la relazione con l’altro come azione liberatrice delle risorse della persona, il vivere in comunità in collaborazione per raggiungere obiettivi condivisi, la ricerca spirituale per dare senso e dignità alla vita, e infine l’azione di lotta non violenta accanto agli ultimi per la conquista dei diritti di cittadinanza. Significativo e importante è ancora il contributo delle Suore di Carità, grazie al servizio di suor Piera.



Il Ce.Re.So, ente promotore della Casa insieme alla Caritas diocesana, ha coinvolto nella gestione la Piccola Opera, che subito ha sostenuto il servizio assumendo la piena responsabilità della gestione economica e della riorganizzazione del servizio. Si è riusciti a convenzionare con l’ASP un servizio domiciliare per due persone che, non avendo casa, sarà svolto presso Casa Don Italo. Nonostante l’esiguità dei finanziamenti, vengono accolte molte altre persone bisognose di cure.

Per rispondere ai nuovi bisogni, la Casa è diventata un appartamento di prossimità dove la persona che fa richiesta di ingresso viene aiutata a diventare protagonista della propria vita. Casa Don Italo è un appartamento messo a disposizione di chi ne ha bisogno e sceglie la vita comunitaria per superare un periodo transitorio di criticità. La Casa è autogestita e il supporto degli operatori messi a disposizione dalla Piccola Opera è di tipo educativo e di assistenza domiciliare.

Il volto della Casa è dato dalle persone che vi abitano. F. è arrivato circa 20 anni fa da fuori regione; nel paesino di montagna da cui proveniva era additato da tutti ed isolato per via di comportamenti non adeguati. Oggi è un distinto signore in pensione a cui piace girare per la città; ama conversare con tutti, leggere il giornale sportivo e si reca accompagnato in day hospital per le visite e gli esami di routine. A casa segue tutti i telegiornali e, quando qualcuno viene a trovarlo, racconta gli episodi più salienti della sua vita. A. era stata abbandonata dal suo convivente e viveva in stato depressivo in uno scantinato fatiscente. Oggi è una signora curata, che si occupa della cucina della Casa. Viene vista da tutti gli altri come la sorella maggiore, per il suo modo materno di prendersi cura degli altri. S. viene dall’India, lavora saltuariamente in agricoltura e fa pulizie quando viene chiamato; invia i suoi risparmi ai genitori molto poveri in India. Nel tempo libero aiuta i suoi connazionali per la burocrazia. Quando cucina, tutti scappano di casa o spalancano le finestre, per via dei tipici aromi della sua terra.

M. è ucraino ed è sfuggito a una guerra; porta nel corpo e nell’anima le ferite inferte dalla cattiveria dell’uomo. Lavora saltuariamente facendo le pulizie in un locale e spesso si chiude in camera con il PC, tenendosi in contatto con il suo Paese di origine. A volte è molto triste e lo vediamo sul terrazzo di casa con il volto rivolto verso il sole e le braccia aperte, come se volesse tutto il calore per lenire la sua sofferenza. E. viene dalla Nigeria: è stata abbandonata dal suo uomo, viveva in strada, ma ha ripreso a studiare ottenendo la licenza media e poi il diploma superiore. Fa lavoretti saltuari quando riesce a trovarli e sogna di diventare mediatrice culturale, inviando curriculum nella speranza di essere chiamata.

Un piccolo nucleo di persone su cui si riflette il mondo: ognuno diverso, unico e originale, tutti abbracciati dal cuore sempre vivo di don Italo. J., venuto dal Niger, vive in autonomia, ha una famiglia e lavora come interprete per diverse associazioni che si occupano di immigrazione. Ogni sua visita è una piccola festa, perché in un certo senso lui è la persona da imitare: è riuscito a rifarsi una vita.

Attraverso un progetto individuale personalizzato, ciascuno di loro è aiutato a valorizzare le proprie risorse e a individuare quelle del contesto territoriale per realizzare un futuro diverso, con la finalità di reinserirsi nuovamente nel tessuto sociale, riappropriandosi della propria individualità e cittadinanza. Ogni persona, secondo il proprio progetto di vita, è libera di aderire all’accoglienza o meno.

È molto bello condividere che questa Casa ha contribuito a far crescere e maturare la vocazione al sacerdozio dell’educatore Matteo De Pietro, oggi parroco e nostro volontario.

L’impegno di Casa Don Italo verso le persone che vi abitano è rendere vivo il messaggio di solidarietà e accoglienza, mettendo in pratica i valori educativi che don Italo ha testimoniato nella sua vita. L’importanza di rendere protagonista la persona di scelte consapevoli e responsabili, standole accanto per sorreggerla nei momenti più difficili, con l’obiettivo di liberarla da una condizione che la vede schiacciata in un quotidiano senza speranza, ma con la scoperta delle proprie risorse può rinascere ed affrontare la vita con fiducia.

Ad oggi, cinquanta persone hanno trovato accoglienza: molte, all’inizio, sono tornate alla Casa del Padre; altre risiedono in modo stabile; per altre ancora è stata una piccola oasi di rigenerazione per continuare la vita nel reinserimento nel lavoro o negli affetti familiari. Tanti volti, ognuno una storia, esperienze di vita che ci hanno arricchito nella condivisione quotidiana di gioie e sofferenze, senza risposte preconfezionate, ma percorsi da costruire insieme. Con tutti ci siamo impegnati e ci impegniamo a dare il meglio di noi stessi, considerando l’altro come fratello, tutti parte di un’unica famiglia: l’umanità.

Le parole di don Italo che, sin dalla nascita, hanno accompagnato il servizio, sono di continuo insegnamento, permettendoci di orientarci in un presente difficile e complesso: «Amatevi tra voi, di un amore forte, di autentica condivisione di vita, amate tutti coloro che incontrate sulla vostra strada, nessuno escluso mai! È questo il comandamento del Signore».

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