Avvenire di Calabria

Don Valerio Chiovaro prosegue la missione iniziata ad ottobre dello scorso anno a Gerusalemme

Quando solitudine non vuole dire isolarsi

Il sacerdote reggino sull'esperienza di Casa Kerigma: «Continua come scuola di "solitudine", ma questo non significa isolamento»

di Valerio Chiovaro

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Don Valerio Chiovaro prosegue la missione iniziata ad ottobre a Gerusalemme. Vi proponiamo la sua nuova testimonianza sull’esperienza di Casa “Kerigma”, sempre più una «scuola di solitudine». «Anche dal silenzio - afferma il sacerdote reggino- si coglie il linguaggio dell’anima e dell’amicizia».

L'isolamento

L’esperienza di Gerusalemme continua come scuola di “solitudine”. Solitudine che non è isolamento. L’isolamento è una scelta! È dove tu ti chiudi, vuoi per paura, stanchezza, fatica. Perché sei stato tradito e questo ti limita dentro una corazza di protezione, diventando, magari, impermeabile all’altro. Duro!


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


L’isolamento è una scelta, una tra le più pericolose. È una scelta che rovina la vita, che ti rende perfino isolante! È anche un tempo che non sai più dedicare ad altro che a ripensare il cosa, il come, il quando e il quanto di brutto l’altro ti ha fatto, riempendo così cuore e mente di pensieri cattivi… L’isolamento porta alla fuga, a tagliare i ponti. Si ciba di distrazioni durante il giorno e di rimuginii durante la notte. Potresti dirmi: «l’isolamento è una scelta degli altri: sono gli altri ad isolarmi!». Non la penso così! L’isolamento è una scelta!

Essere isolato non è dove gli altri tentano di rinchiuderti escludendoti, mettendoti da parte, tirandoti giù dalla loro vita. Gli altri possono creare delle condizioni, loro stessi rei di atteggiamenti divisivi, ma l’isolamento è una scelta! Una scelta di non assecondare chi ti emargina, chi ti esclude. Di non assecondare chi divide. In tal senso, se gli altri ti possono isolare, tu puoi imparare anche da questo l’arte della solitudine.

La solitudine

La solitudine è uno spazio silenzioso e ordinato, abitato da affetti cari e amori veri. È il silenzio di una parola che parla sottovoce il linguaggio dell’anima, della nostalgia, della profezia, dell’amicizia. Che dice di quell’amore che riscalda il cuore, perché percepisce abbracci senza braccia e stringe corpi senza corpo. La solitudine è tempo di dialogo, di incontro! È l’intimità di una relazione che ti porti dentro e ti porta fuori, oltre ogni isolamento, oltre te.

Per questo la solitudine è generativa, è il laboratorio della creatività che inventa nuove ricette per educare a stare insieme, per maturare atteggiamenti comunionali. Certo la solitudine è generata dalla comunione, ma anche la comunione non può che nascere dalla solitudine.

Casa “kerigma”, una scuola di solitudine.

Non è difficile da Gerusalemme educarsi a questa solitudine, non tanto perché non ci sia tanta gente, anzi, ma perché chi segue le orme del Maestro impara dalla sua solitudine. Gesù spesso, tutto solo, se ne va a pregare, si ritira lontano dai suoi e più vicino ai suoi. Sale sul monte per meglio vedere i suoi discepoli sulla barca agitata dal vento. Scende nelle valli del Giordano per meglio scegliere il cammino da riprendere. Ma è soprattutto Gerusalemme la città della solitudine del Maestro, in particolare dopo i fatti del cenacolo: i discorsi dell’addio, la lavanda dei piedi e l’ultima cena.

Da questi fatti vi è un insieme di accadimenti che vorrebbero isolare Gesù. Non è forse questo il più grande impegno del diavolo, il divisivo e l’isolante per eccellenza? Ma il Maestro sceglie la solitudine! La solitudine del Getsemani è l’occasione per accogliere la difficile volontà di Dio. È il momento in cui Gesù si fida del Padre, mentre gli amici lo abbandonano, si isolano condividendo un sonno privo di ogni sensibilità alla richiesta di compagnia del Maestro. Ma la solitudine educa a lasciar fare… e così i discepoli dormono, perfino rinnegano e tradiscono. Loro sì che si isolano, e Giuda lo fa fino alla fine, anzi così finendo!

La solitudine continua dinanzi a Pilato, è quella solitudine ricca di molte, troppe parole degli altri su e contro al Maestro. Parole che vorrebbero isolare, ma la scelta è un’altra: le poche parole del Maestro e poi il silenzio. È la solitudine che lascia fare ad una giustizia ingiusta, che permette un processo simulato… quella che fa scegliere Barabba. C’è qualcuno che grida per lui, il bandito. Per il Maestro c’è forte il grido della solitudine: Crocefiggilo! E nel frattempo Pilato, anche, si isola! La solitudine continua nella via crucis… Sotto il peso di quella croce. È la solitudine che lascia fare a Simone di Cirene, obbligato a portare la croce. Solo la solitudine educa, perfino il Maestro, ad accettare e digerire che qualcuno sia obbligato ad aiutarti a portare la croce. L’amore alcune cose le fa senza essere obbligato!

La solitudine continua nel calvario, mitigata dalla prossimità dei due ladroni, compagni nella pena, diversi nella colpa. L’uno isolato lo prende in giro, l’altro - che condivide la stessa solitudine - guadagna il sorriso del cielo. Sulla croce vi è quella solitudine che educa la libertà di lasciare la madre al figlio e il figlio alla madre, in un unico atto di affidamento di due solitudini, così diverse e cosi prossime. Il discepolo amato, la madre amata, due solitudini che si fanno compagnia. Perché la solitudine unisce, proprio dalla croce.


PER APPROFONDIRE: Una nuova missione nella Terra del Signore


E non finisce qui. A Gerusalemme ci si educa anche alla solitudine del sepolcro. È una tomba a «posto unico». Qui è quel senso di vuoto che fa risuonare la voce: «Chi cerchi? Perché cerchi tra i morti colui che è vivo?». Un vuoto pieno… Questa è la solitudine del sepolcro, quella di Maria di Magdala che, ferma fuori, sola, piange e che, dal sepolcro vuoto, Lei, ferma con la sua solitudine, si sente chiamare per nome dalla sola voce che invade, e forse esige, la solitudine. Che stringe corpi senza più corpo! Che bella, che meraviglia questa solitudine e quanto ne abbiamo bisogno in un mondo così pieno di nulla e così vuoto di vero. In un mondo così divisivo che isola, abbiamo proprio bisogno di questa solitudine che è comunione. Perché l’ultima parola non è mai sei solo, ma siamo insieme… Anche nella tua, nella nostra solitudine.

Articoli Correlati