Avvenire di Calabria

Il rettore del Seminario "Pio XI" di Reggio racconta la sua chiamata

«Continuo a stupirmi di come Dio sia tutto»

Don Salvatore Santoro ringrazia Dio per gli anni vissuti in comunione con lui

Redazione Web

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«Il vangelo lo si legge come le lettere ebraiche: partendo dalla fine..». Con questo verso, davvero suggestivo, il poeta polacco Twardowski immagina di poter spiegare la forza dirompente della resurrezione di Gesù, interpretandola come quel terminus ad quem che è paradigma di ogni storia, raggio luminoso che chiarisce e rischiara ogni presente ed ogni passato.

E’ proprio così: amando e vivendo il tuo oggi, riesci a percepire bene il filo d’oro che porta alle tue origini, la radice (che rimane nascosta) che sostiene l’albero della tua vita! Con gratitudine e stupore, proprio partendo ”..dalla fine..” - cioè da quanto oggi il Signore scrive nella mia esistenza, soprattutto in questi anni di ministero in seminario - mi è facile ricuperare la trama e l’ordito del mio incontro con Gesù e con la chiesa, fino a risalire alle radici della mia fede che, come per tanti di noi, mi riportano alla culla della mia famiglia: anch’io ho imparato a pregare assieme a mamma e papà, nutrito dalla fede dei miei cari; anch’io ho vissuto in parrocchia il tempo della formazione, della ricerca (anche della crisi), dell’amicizia e del servizio; anch’io debbo alla premura ed alla paternità di tanti preti e laici, innamorati di Dio ed appassionati dell’uomo, la scoperta della mia vocazione.

Dietro un prete c’è sempre un prete! Sono sempre stato convintissimo di questa cosa, ed è stato così anche per me: nel discernimento (a tratti anche tumultuoso!) della volontà di Dio sulla mia vita e nella decisione finale di mettermi a sua completa disposizione, ci sono stati tanti sacerdoti (qualcuno con una incidenza particolare) che, con pazienza e “senza sconti”, mi hanno entusiasmato, custodito, ascoltato, “spiazzato”, incoraggiato. “La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”: è qui la “chiave” della pastorale, soprattutto quella di orientamento vocazionale! Anch’io avevo un “sogno nel cassetto”: mi hanno sempre appassionato la letteratura, la medicina, il mistero della vita e dei meccanismi che la sostengono; ho capito, però, che il Signore non mi chiamava tanto a “curare” qualcuno, quanto piuttosto “a prendermi cura” di tutti i suoi figli, dei loro sogni e delle loro speranze, delle loro notti e delle loro albe..

Ho “fatto i conti” con il desiderio umanissimo di amare e di essere amato e non ho pensato, francamente, da subito, al sacerdozio: l’ho capito poco alla volta e non senza fatica, in particolare vivendo la stagione stupenda (che per certi versi non è mai finita) di accompagnamento dei giovani, soprattutto nel servizio in Azione Cattolica, nutrito da un particolare fascino per la sacra Scrittura. Accanto ai giovani (ho scoperto che sono loro i nuovi poveri, da amare e servire!) ho capito che avrei dovuto spendere le mie energie, prima come educatore, poi da parroco – cercando di non far mancare niente a nessuno – oggi da rettore. Dopo ventiquattro anni di ministero, sono felice di stupirmi di come, tra i “tanti tanto” che il Signore mi ha regalato, Lui continui ad emergere, per me, come il Tutto: questo rende bellissima l’avventura di un prete, ed è la ..radice che sostiene e rende fecondo il grande albero della sua vita!

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