Avvenire di Calabria

Tra gli aspetti collaterali spunta anche l’infodemia cioè l’eccesso consumo di informazioni sul contagio

Coronavirus e psiche, l’esperta: «Crollano le certezze»

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

di Giusy Zinnarello * - La condizione di emergenza dovuta alla pandemia di Covid–19, diversa per estensione e durata dalle recenti epidemie, ha sconvolto il mondo intero e messo a dura prova il nostro benessere psicologico presentandosi come una nuova sfida anche per i professionisti della salute mentale. Non è un caso che la metafora più utilizzata è attualmente quella della guerra: ci sentiamo tutti in trincea in questa battaglia a difesa della vita che è iniziata clamorosamente lo scorso marzo.

Naturalmente la risposta psicologica a tale situazione varia da individuo a individuo perché entrano in gioco numerose variabili di natura bio– psico–sociale e il grado di coinvolgimento diretto o indiretto. In prima fila ci sono i familiari delle vittime che non hanno potuto assistere i loro cari né hanno potuto celebrarne i funerali: una ritualizzazione della morte che sul piano psicologico permette simbolicamente di racchiuderla in una cornice di senso. Sempre in prima fila troviamo il personale sanitario che continua a fronteggiare un incremento esponenziale del carico di lavoro e del rischio di contrarre l’infezione con l’annessa paura di trasmetterlo ad altri.

La letteratura che si riferisce agli esiti psicologici del personale sanitario coinvolto in precedenti epidemie, come Ebola e Sars, ha messo in evidenza l’emergere di vissuti di distacco dagli altri, ansia, irritabilità, scarsa concentrazione, insonnia e sintomi depressivi elevati per il 9% del campione preso in esame (Brooks et al., 2020). Nessuno di noi può dire di non aver sperimentato da marzo ad oggi vissuti di impotenza e di vulnerabilità rispetto, soprattutto, alla possibile protezione per sé e i propri cari dal contagio. È sicuramente diminuita la nostra percezione di sicurezza ed è aumentata di contro l’incertezza per il futuro. Se è vero che generalmente gli individui sono in grado di affrontare e superare situazioni problematiche, anche di elevato impatto traumagenico e che in molti hanno messo in atto modalità di tipo resiliente di fronteggiamento della situazione di emergenza, così come della quarantena, con forte positività e senso di autoefficacia, è altrettanto vero che la ricerca scientifica e la pratica clinica evidenziano un significativo aumento di sofferenza psicofisica espressa a vari livelli di sistema (individuale, di coppia e familiare), tanto che alcuni studiosi ( Termini F., Curcurù G., 2020) hanno utilizzato l’espressione trauma collettivo per descrivere l’attuale situazione.

La risposta agli agenti stressanti (stressors) e le sue conseguenze sul piano fisico e psichico dipendono in buona parte dal rapporto tra la percezione della minaccia e quella di un possibile controllo. Se, come può accadere in caso di pandemia, la percezione della minaccia è molto alta e la percezione di possibilità di controllo è bassa, avremo un alto livello di stress con ricadute sulla salute psicofisica particolarmente gravi. Ai vissuti sopradetti occorre aggiungere gli stressors del lookdown– la forte limitazione della libertà personale e dei contatti sociali, la confusiva informazione mediatica (l’Oms ha coniato il neologismo infodemia per indicare un contagio di eccesso di informazioni a contenuto angosciate e terrorizzante) – e gli stressors post lockdown legati alle difficoltà economiche e al ritorno ad una pseudo normalità con la frustrazione causata dalle regole sul distanziamento e dai dispositivi di protezione quali le mascherine.

Tali fattori possono inficiare notevolmente le capacità di adattamento psicologico e indebolire il grado di resilienza di un individuo, soprattutto laddove sono già presenti vulnerabilità psicologiche e relazionali, disabilità psicofisica o esposizione a precedenti esperienze traumatiche. Gli esiti psicologici di questo stravolgimento del nostro quotidiano e delle nostre dinamiche relazionali sono spesso sentimenti di paura, di angoscia, di colpa, di rabbia legata al pensare di essere esposti alla malattia a causa della negligenza altrui, aumento di difficoltà interpersonali nella prolungata convivenza con i familiari.

Le situazioni più gravi possono esitare in disturbi della sfera emotiva, comportamenti di evitamento fobico per paura di essere infettati, sintomi depressivi quali disperazione, alterazioni dell’appetito o del sonno, apatia, irritabilità, ideazione suicidaria o sintomi più o meno severi da stress post–traumatico come ricordi intrusivi, elevato arousal, incubi. Tutte manifestazioni di sofferenza che possono trovare risoluzione rivolgendosi a un professionista della salute mentale.

Clinici e ricercatori stanno promuovendo una riflessione dentro la comunità scientifica, coinvolgendo anche le istituzioni politiche, per individuare buone prassi per il fronteggiamento di tale emergenza e per far in modo che non si sottovaluti la necessità di implementare azioni di prevenzione e interventi psicologici efficaci e tempestivi, commisurati alle molteplici e diverse esigenze dell’intera popolazione.

* Psicologa

Articoli Correlati