
Convenzione tra il Consiglio regionale e l’Ordine degli psicologi
Un impegno concreto per prevenire e gestire lo stress lavorativo, promuovendo il benessere Siglata nella
di Giusy Zinnarello * - La condizione di emergenza dovuta alla pandemia di Covid–19, diversa per estensione e durata dalle recenti epidemie, ha sconvolto il mondo intero e messo a dura prova il nostro benessere psicologico presentandosi come una nuova sfida anche per i professionisti della salute mentale. Non è un caso che la metafora più utilizzata è attualmente quella della guerra: ci sentiamo tutti in trincea in questa battaglia a difesa della vita che è iniziata clamorosamente lo scorso marzo.
Naturalmente la risposta psicologica a tale situazione varia da individuo a individuo perché entrano in gioco numerose variabili di natura bio– psico–sociale e il grado di coinvolgimento diretto o indiretto. In prima fila ci sono i familiari delle vittime che non hanno potuto assistere i loro cari né hanno potuto celebrarne i funerali: una ritualizzazione della morte che sul piano psicologico permette simbolicamente di racchiuderla in una cornice di senso. Sempre in prima fila troviamo il personale sanitario che continua a fronteggiare un incremento esponenziale del carico di lavoro e del rischio di contrarre l’infezione con l’annessa paura di trasmetterlo ad altri.
La letteratura che si riferisce agli esiti psicologici del personale sanitario coinvolto in precedenti epidemie, come Ebola e Sars, ha messo in evidenza l’emergere di vissuti di distacco dagli altri, ansia, irritabilità, scarsa concentrazione, insonnia e sintomi depressivi elevati per il 9% del campione preso in esame (Brooks et al., 2020). Nessuno di noi può dire di non aver sperimentato da marzo ad oggi vissuti di impotenza e di vulnerabilità rispetto, soprattutto, alla possibile protezione per sé e i propri cari dal contagio. È sicuramente diminuita la nostra percezione di sicurezza ed è aumentata di contro l’incertezza per il futuro. Se è vero che generalmente gli individui sono in grado di affrontare e superare situazioni problematiche, anche di elevato impatto traumagenico e che in molti hanno messo in atto modalità di tipo resiliente di fronteggiamento della situazione di emergenza, così come della quarantena, con forte positività e senso di autoefficacia, è altrettanto vero che la ricerca scientifica e la pratica clinica evidenziano un significativo aumento di sofferenza psicofisica espressa a vari livelli di sistema (individuale, di coppia e familiare), tanto che alcuni studiosi ( Termini F., Curcurù G., 2020) hanno utilizzato l’espressione trauma collettivo per descrivere l’attuale situazione.
La risposta agli agenti stressanti (stressors) e le sue conseguenze sul piano fisico e psichico dipendono in buona parte dal rapporto tra la percezione della minaccia e quella di un possibile controllo. Se, come può accadere in caso di pandemia, la percezione della minaccia è molto alta e la percezione di possibilità di controllo è bassa, avremo un alto livello di stress con ricadute sulla salute psicofisica particolarmente gravi. Ai vissuti sopradetti occorre aggiungere gli stressors del lookdown– la forte limitazione della libertà personale e dei contatti sociali, la confusiva informazione mediatica (l’Oms ha coniato il neologismo infodemia per indicare un contagio di eccesso di informazioni a contenuto angosciate e terrorizzante) – e gli stressors post lockdown legati alle difficoltà economiche e al ritorno ad una pseudo normalità con la frustrazione causata dalle regole sul distanziamento e dai dispositivi di protezione quali le mascherine.
Tali fattori possono inficiare notevolmente le capacità di adattamento psicologico e indebolire il grado di resilienza di un individuo, soprattutto laddove sono già presenti vulnerabilità psicologiche e relazionali, disabilità psicofisica o esposizione a precedenti esperienze traumatiche. Gli esiti psicologici di questo stravolgimento del nostro quotidiano e delle nostre dinamiche relazionali sono spesso sentimenti di paura, di angoscia, di colpa, di rabbia legata al pensare di essere esposti alla malattia a causa della negligenza altrui, aumento di difficoltà interpersonali nella prolungata convivenza con i familiari.
Le situazioni più gravi possono esitare in disturbi della sfera emotiva, comportamenti di evitamento fobico per paura di essere infettati, sintomi depressivi quali disperazione, alterazioni dell’appetito o del sonno, apatia, irritabilità, ideazione suicidaria o sintomi più o meno severi da stress post–traumatico come ricordi intrusivi, elevato arousal, incubi. Tutte manifestazioni di sofferenza che possono trovare risoluzione rivolgendosi a un professionista della salute mentale.
Clinici e ricercatori stanno promuovendo una riflessione dentro la comunità scientifica, coinvolgendo anche le istituzioni politiche, per individuare buone prassi per il fronteggiamento di tale emergenza e per far in modo che non si sottovaluti la necessità di implementare azioni di prevenzione e interventi psicologici efficaci e tempestivi, commisurati alle molteplici e diverse esigenze dell’intera popolazione.
* Psicologa
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