di Giuseppe Iero * - L’uomo e l’umanità al centro; non è uno slogan, ma quanto instancabilmente fa nella sua mission il mondo del volontariato affrontando il fenomeno dell’immigrazione. Lo ha sempre fatto, nel silenzio della sua azione, anche quando ogni sbarco od una qualsiasi situazione di emergenza, diventano la scusa per creare allarmismo, paura, odio o ancora peggio per lasciare in mare centinaia di persone distrutti nell’anima e nel corpo, facendo leva ed alimentando la paura di un’invasione. Un azione, quella del volontariato, completamente in sintonia con il pensiero di Papa Francesco: «Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie. Non si tratta solo di migranti, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata ». Un impegno richiamato a 360 gradi dove gli ultimi devono essere messi al primo posto benedicendo il ruolo dei soccorritori e dei volontari che si impegnano con coraggio della verità e rispetto per ogni vita umana.
Eppure nel mondo del volontariato, in contrapposizione ulteriore alle paure spesso ingiustificate verso lo straniero si rileva un impegno spesso nascosto, quello degli immigrati stessi che una volta arrivati in Italia da vittime sono diventati protagonisti di un impegno di volontariato che li coinvolge in prima persona. Questo è quanto appare in una ricerca condotta da CSVnet e Centro Studi Medi, in centosessantatré città italiane a migranti provenienti da ottanta paesi diversi, il 55% dei volontari di origine straniera s’impegna in modo continuativo con una media di circa 6 anni di attivismo.
A questa categoria appartengono soprattutto disoccupati, studenti e giovani che vivono nella famiglia di origine. I più saltuari rappresentano il 28% del campione, con un’esperienza