Avvenire di Calabria

Intervista al presidente del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria su pianeta carceri e percorsi di rieducazione fuori dai penitenziari

Detenuti, non buttare la chiave: puntare sulle pene alternative

Tortorella: «La riabilitazione della persona è la sfida. Necessarie anche più risorse»

di Davide Imeneo

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Pene alternative, un tema tornato d’attualità che riaccende i riflettori su pianeta carceri e opportunità di promuovere percorsi di rieducazione al di fuori dei penitenziari. Ne abbiamo parlato con il magistrato Daniela Tortorella, presidente del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria.

Detenzione e rieducazione. Qual è il futuro della pena in Italia?

Le parole detenzione e rieducazione sembrano quasi in contrasto tra loro, invece è tutt’altro. La rieducazione è il filo conduttore di tutta l’esecuzione della pena, così come previsto dall’articolo 27 della Costituzione. Rieducare significa far acquisire al soggetto che è stato condannato in via definitiva, la consapevolezza dei valori e delle norme che ha disatteso commettendo un reato e quindi accompagnarlo nel far riacquisire questi determinati valori a guida dei comportamenti futuri. Questo percorso rieducativo è lasciato alla libertà del soggetto, è una valorizzazione della libertà dell’autore del reato.


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La rieducazione è il fine, ma i mezzi per raggiungere questo fine sono diversi. In base al tipo di reato commesso è previsto che la rivisitazione del percorso di vita del detenuto avvenga in un contesto protetto quale ad esempio il carcere, oppure – se il reato commesso o le condizioni del soggetto non richiedono la detenzione – le misure di detenzione possono essere eseguite attraverso misure alternative. Una pena non esclude l’altra: la caratteristica della pena è quella di essere flessibile, per cui – salvo casi particolari – anche un percorso che inizia in carcere può evolvere in modalità alternative. Il futuro della pena in Italia è legato a questo difficile equilibrio tra queste due modalità di espiazione: il carcere e le misure alternative.

Cosa ne pensa dell’ergastolo ostativo alla fruizione di misure alternative?

L’ergastolo ostativo in quanto correlato a reati di criminalità organizzata, terroristica ed eversiva - si connota per particolari limitazioni nell’accesso alle misure alternative. Non basta l’adesione al trattamento rieducativo, ma la legge richiede un ulteriore requisito che è la collaborazione con la giustizia. Io ritengo che questo tipo di risposta forte a questa tipologia di delitti sia stata imposta dallo Stato dal particolare momento di minaccia alla tenuta della democrazia che veniva dalle stragi e dai grandi delitti di mafia degli anni ’90. È vero che si pone un problema di compatibilità con la finalità rieducativa della pena, se rieducare significa restituire alla società l’individuo, è chiaro che l’ergastolo così come è concepito non assolve a questo tipo di funzione.

Cosa ne pensa del 41Bis?

Il 41bis è uno strumento imprescindibile nella lotta alle mafie al pari delle misure patrimoniali. Pone dei problemi di compatibilità con un altro principio previsto dall’articolo 27 della Costituzione che è quello di umanità. Penso che possa essere uno strumento importante perché sostanzialmente privare il boss mafioso del potere di comando che si esercita all’interno degli istituti di pena - dove si replicano spesso le dinamiche associative e di proselitismo mafioso - è fondamentale. Però ritengo che non sia questo l’unico strumento per debellare la mafia: è necessario intervenire sui contesti nei quali la mafia cresce e si sviluppa. A queste misure restrittive è necessario che si accompagnino all’esterno del carcere delle misure significative come ad esempio il protocollo Liberi di Scegliere.

Quali strade suggerirebbe al legislatore per introdurre nuove misure alternative alla detenzione?

Le misure alternative alla detenzione sono già abbastanza variegate, oltretutto, in questo mese, entrerà in vigore un nuovo decreto con nuove pene sostitutive che sostanzialmente riproducono quelle già esistenti e aggiungono il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria sostitutiva. Più che incidere sul catalogo delle pene io auspico che il legislatore agisca sul contenuto di queste pene.


PER APPROFONDIRE: Il neo Garante dei detenuti incontra il presidente della Cec


Soprattutto le misure meno restrittive - in particolare l’affidamento - è necessario abbiano dei contenuti, ma per ottenere questo scopo serve investire negli organi dell’esecuzione penale esterna (come l’ufficio esecuzione penale esterna), personale specializzato che segue e accompagna il soggetto in questi percorsi esterni e sulle risorse che devono essere incentivate per agevolare la risocializzazione: il lavoro, l’istruzione, la formazione, percorsi di riflessione guidati, forme di riparazione, di mediazione penale e di giustizia riparativa che promuovano da parte del soggetto una riflessione seria e lo aiutino a superare la devianza, perché il vero banco di prova è il fatto che il detenuto – quando esce dal carcere – non viene messo nelle condizioni di ricostituire su altre basi il proprio percorso di vita.

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