Si può parlare oggi di direzione spirituale? Certamente si. Anzi mi permetterei di dire che è necessario e fondamentale. Rispetto agli anni ’60, anni in cui la crisi culturale e la ribellione a tutti gli stereotipi strutturali avevano portato a vedere nella figura del “padre spirituale” colui che condiziona e che soffoca la libertà personale, gradualmente si è passati a comprendere il vero significato della direzione e dell’accompagnamento spirituale: non più una guida che limita nelle scelte, che obbliga e frena, che crea dipendenza affettiva e operativa, ma un aiuto importante all’autoconoscenza personale, un servizio offerto per la crescita e per il cambiamento umano e cristiano della personalità dell’individuo. Il cammino di direzione spirituale è quindi un itinerario di maturazione che non riguarda soltanto i sacerdoti o i consacrati, ma il fedele in quanto tale. Scendiamo più in profondità e osserviamo, attraverso tre semplici passaggi, perché la direzione spirituale è fondamentale nella vita di ogni credente: 1) Si ha una fase iniziale di Autoconoscenza, che comincia con un movimento di discesa e di interiorizzazione e che favorisce l’esplorazione del mondo interiore dell’interlocutore. Lo scopo di questa fase è quello di accompagnare l’individuo nella coscientizzazione delle situazioni e dei problemi personali: per orientare il cristiano verso la conoscenza di sé e delle proprie tendenze sarà conveniente motivarlo a prendere coscienza della loro origine e dei loro difetti. Ogni persona è unica e irripetibile e si differenzia dalle altre per temperamento, per storia familiare e personale, per formazione umana e religiosa. Il direttore spirituale deve prestare attenzione all’uomo integrale: al corpo e allo spirito, alla storia passata e alla situazione attuale, alla sua condizione di caduto a causa del peccato e a quella di reintegrato dalla potenza della grazia. 2) Segue la fase di personalizzazione, che presuppone un passo avanti rispetto all’autoesplorazione, in quanto stimola il cristiano all’accettazione della propria responsabilità sia in rapporto agli eventi passati sia in relazione alle mete future. Continua l’opera di consolidamento della fiducia e della stima mutua e, contemporaneamente, si prepara il soggetto per un’azione che confermi il suo cambiamento mentale. 3) La fase finale della direzione spirituale consiste nell’accompagnare l’azione perseverante, e quindi nel promuovere l’impegno pratico: il sacerdote tenta di motivare il nuovo ideale di vita, raccomanda di partire dai punti forti, più chiari e caratteristici del soggetto, accompagnando il fedele verso il raggiungimento progressivo del traguardo. In quest’ultima fase è l’accompagnatore a prendere l’iniziativa: fa scoprire al discepolo le sue contraddizioni e le sue incongruenze e gli fa scegliere le alternative più valide per il raggiungimento dello scopo. È importante che questo cammino sia contraddistinto dalla virtù della perseveranza: col passare del tempo le motivazioni possono perdere la loro chiarezza e la loro forza, l’individuo può scoraggiarsi e la meta può apparirgli sempre più lontana e difficile; sarà compito del direttore infondere coraggio al discepolo, animarlo a trovare strategie e rinforzi adeguati, alimentare con stimoli e sostegni convenienti l’impegno costante di crescita. Affidiamo la sintesi di quanto detto a un grande maestro spagnolo, San Giovanni della Croce, che in una semplice riflessione condensa tutto il senso della direzione spirituale: “Colui che vuole restare solo senza il sostegno di un maestro e di una guida, è come un albero solo e senza padrone in un campo, in cui i frutti, per quanto abbondanti, verranno colti dai passanti e non giungeranno quindi a maturità”.