Avvenire di Calabria

Economia meridionale, è ancora crisi

In questo momento ci vorrebbero cure da cavallo per risollevare buona parte del Mezzogiorno

Nicola Salvagnin

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L’analisi dei flussi autostradali conferma che l’Italia si sta riprendendo: aumentano i transiti di auto e soprattutto di mezzi pesanti. Che nel nostro Paese sono un indicatore chiaro di dinamismo economico, in quanto quasi tutte le merci viaggiano ancora su gomma.
La ripresa è forte in Lombardia e nel Nordest. Ha la stessa intensità lungo la via Emilia fino a Rimini. Nel Marchigiano i numeri sono buoni, anche se il traffico racconta di una realtà fatta soprattutto di medio-piccole imprese con business a corto raggio. In crescita, pure se con numeri decisamente inferiori, nel resto della dorsale adriatica, con un vero e proprio boom nel tratto Canosa-Bari-Taranto, insomma in quella Puglia che si conferma – con l’area Napoli-Caserta-Salerno – il motore del Mezzogiorno.
Qui a tirare sono l’agroalimentare, il turismo, il tessile, il metalmeccanico. Ma qui finiscono pure le buone notizie per il nostro Sud. I due poli campano-pugliesi, che tra l’altro saranno pure collegati (in tempi biblici) dall’alta velocità ferroviaria; a loro volta collegati economicamente dagli stabilimenti Fca-Chrysler sparsi nel territorio, la lucana Melfi in primis. E poco altro.
Se Cristo s’era fermato ad Eboli, a livello economico grandi progressi non ne sono stati fatti, in tutti i sensi. Da lì in giù, un po’ di agroalimentare e turismo, tra l’altro ora messo in croce dalla perdita di alcuni voli Ryanair che – a caro prezzo per gli aeroporti – portavano passeggeri in alcuni scali del Mezzogiorno. Voli che magari ritorneranno, ma il problema evidenzia la mancanza di collegamenti rapidi e validi con una fetta di Paese che Romano Prodi vent’anni fa sognava come la California d’Europa, e ora è il Peloponneso d’Italia: bello, scomodo, impoverito, sempre più disabitato.
Ma questo non sembra essere un problema nazionale bensì locale, quindi non è un problema, sparisce dai radar. Si tira a campare con forti dosi di assistenzialismo pubblico, nel momento in cui il bilancio statale piange; i fondi europei vengono erogati solo se si fa qualcosa di valido (e neppure in questi casi riescono ad essere spesi); alcune Regioni del Nord stanno chiedendo – tramite referendum la Lombardia e il Veneto, direttamente al Governo l’Emilia Romagna – maggiori autonomie finanziarie. In parole povere, più soldi da trattenere in casa e meno da mandare in Calabria o Sardegna.
Non sembrano bei segnali in un momento in cui ci vorrebbero cure da cavallo per risollevare buona parte del Mezzogiorno, soprattutto quello insulare e appenninico. Non vorremmo essere pessimisti, anche se difettano i motivi per essere ottimisti.

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