Avvenire di Calabria

Un posto al sole? Non per tutti: così l'estate per le persone con disabilità a Reggio Calabria è imprigionata dalla burocrazia

L’estate per le persone con disabilità a Reggio Calabria? «È autogestita»

Ne abbiamo parlato con Neri, portavoce provinciale del Forum Terzo Settore, e Comi, socia dell'Agedi, un'associazione di genitori

di Federico Minniti

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Un posto al sole? Non per tutti: così l'estate per le persone con disabilità a Reggio Calabria è imprigionata dalla burocrazia. Ne abbiamo parlato con Pasquale Neri, portavoce provinciale del Forum Terzo Settore, e Adriana Comi, socia dell'Agedi, un'associazione di genitori e caregivers reggini.

Quale estate per le persone con disabilità a Reggio Calabria?

Disabilità, diritti e inclusione. Tre temi che non vanno mai in vacanza. È concorde Pasquale Neri, portavoce metropolitano del Forum Terzo Settore, l’assemblement che coordina le realtà solidali sul territorio di Reggio Calabria. Lo abbiamo intervistato.

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Sta per finire la scuola e le attività “ordinarie”, per fare spazio al periodo estivo, in che modo il Terzo Settore reggino sostiene i percorsi di inclusione delle persone con disabilità?

Diciamo innanzitutto che proprio perché “percorsi di inclusione” non dovrebbero essere pensati a ridosso della stagione estiva ma costruiti in un’ottica di percorsi, appunto, che nel periodo estivo si realizzano attraverso strumenti diversi. In questo senso siamo lontani dall’idea di percorsi strutturati di inclusione, soprattutto per persone con disabilità. Anzi, in qualche caso i servizi previsti e finanziati in ambito sociale d’estate riducono i giorni di apertura perché contemplati per 11 mesi. La responsabilità di “offrire” alternative spesso è lasciata al terzo settore che si organizza come può.

Se è vero che l’impegno non va in vacanza, cosa manca secondo lei? Quale è la “quota” di corresponsabilità da parte delle Istituzioni locali?

L’inclusione tale non dovrebbe andare in vacanza. Nel senso che i servizi di inclusione servono per il riconoscimento del diritto alla pari dignità ed a rimuovere gli ostacoli che limitano libertà e eguaglianza tra i cittadini. La consapevolezza di questa responsabilità istituzionale non è ancora assunta appieno dalle pubbliche amministrazioni che, purtroppo, non percepiscono le politiche sociali come elemento centrale per lo sviluppo delle comunità. Le condizioni delle politiche di inclusione in Calabria sono testimonianza di una “quota” bassa corresponsabilità da parte delle istituzioni locali.


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Allargando lo spettro della nostra riflessione: a suo avviso gli strumenti (e le risorse) in campo per favorire l’inclusione e l’autonomia delle persone con disabilità sono sufficienti?

In questo momento la costruzione di inclusione e autonomia delle persone con disabilità potrebbe non avere problemi di strumenti e di risorse. Si pensi alle ultime leggi di bilancio, al PNRR, alla programmazione europea. Il problema è la volontà a lavorare insieme, a partire da quella responsabilità comune tra Enti del Terzo Settore e Pubbliche amministrazioni nel perseguire l’interesse generale. Il valore generativo dell’amministrazione condivisa rappresenterebbe un elemento di svolta nei nostri territori. La fatica sta nel cambio culturale che stenta e la consapevolezza che nessuno da solo riuscirà mai a risolvere questi problemi.

Infine, come Forum del Terzo Settore quali sono le vostre proposte in tal senso?

Come Forum lavoriamo sul piano politico e culturale. Le difficoltà sono anche all’interno del nostro mondo. Le proposte cercano di valorizzare l’esistente attraverso processi di partecipazione, portare cambiamento nei percorsi di formazione delle politiche, di promuovere l’idea dell’integrazione e della multidimensionalità degli interventi e dei servizi. Nulla di nuovo, ma da noi arriviamo alla 328 con oltre 20 anni di ritardo. Come dire, abbiamo a disposizione strumenti e risorse, condividiamo le responsabilità delle politiche da soggetti con pari dignità con le pubbliche amministrazioni.


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Mamma, caregiver e attivista: Adriana Comi conosce da vicino, anzi da vicinissimo, tutte le criticità che la bella stagione porta nella quotidianità delle persone con disabilità. «È inutile girarci intorno: non c’è un bel niente» afferma laconica la socia dell’Agedi, la storica associazione reggina formata dalle famiglie di persone con disabilità.

Può sembrare una “frase fatta”, ma Comi - che ha un figlio disabile “adulto” di 36 anni - spiega con esempi concreti: «Non ci sono spiagge pubbliche accessibili e attrezzate per accogliere i nostri figli a mare, non ci sono attività pubbliche pensate specificatamente per i loro bisogni di socialità, non c’è una programmazione di iniziative o eventi a cui partecipare».

Insomma sembra che la disabilità, stando alle parole di Comi e dell’Agedi, per qualcuno «vada in vacanza». Restano, invece, la grandi difficoltà affrontate, specialmente da tutti quei familiari-caregiver in avanti con l’età, che non possono sostenere alcuni “sforzi fisici” che sono necessari e inevitabili per far vivere un’estate normale ai loro cari.

«Anche i centri diurni chiudono ad agosto - sottolinea Comi - e questo in alcuni casi comporta che i nostri figli diventano prigionieri dell’estate mentre i loro coetanei vivono questa stagione tra divertimento e spensieratezza».

Un divario di diritti insostenibile. Eppure «di reali cambiamenti non si intravede nemmeno l’ombra» sottolinea Comi. Un gap che, se possibile, si allarga ancor di più in età post scuola: «Tanti centri estivi rifiutano l’iscrizione dei nostri figli non avendo il personale adeguato per poterli seguire».

Così l’estate delle persone adulte con disabilità è tutta sulle spalle dei familiari. Non una buona notizia.

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