
Autismo e scuola: «Costruire relazioni è il primo passo verso l’inclusione»
La professoressa Annamaria Curatola, docente e formatrice, analizza il significato profondo dell’inclusione scolastica per gli studenti con disturbo dello spettro autistico
Insegna Editoria Multimediale, Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano. È Stefania Garassini: con lei ci siamo confrontanti sul difficilissimo rapporto tra educazione e tecnologia.
Bambini e smartphone. I genitori sono veramente in trappola?
I genitori cadono nella rete se si lasciano intrappolare da «quello che fanno tutti», cioè escludendo il buon senso per il bene dei loro figli. Quando entra in campo una tecnologia così complessa fatto da adulti per adulti, i genitori rischiano di farsi convincere di non essere all’altezza. Non bisogna mai delegare l’educazione dei nostri figli: non c’è bisogno di competenze specifiche, ma credere nel proprio ruolo fino in fondo.
Educazione al digitale. Quali sono le regole base?
Il rapporto con la tecnologia si inserisce in un rapporto educativo pre-esistente. Parlando di regole, io terrei presenti due aspetti: realismo e gradualità. Rispetto al realismo, dobbiamo dirci la verità: spesso gli adulti sono i primi a fare fatica nella gestione degli smartphone. Se parliamo, invece, di gradualità dobbiamo partire dall’età “iniziale” in cui acquistare il device ai nostri figli: i limiti ci sono se si pensa che l’iscrizione ai maggiori Social network è fissata a 14 anni. Inoltre, sempre parlando di gradualità ci sono altre alcune semplici regole: anzitutto, vietare l’uso dello smartphone di notte, iniziando noi adulti a lasciarlo fuori dalle nostre camere da letto. Questa impostazione può essere mutuata anche durante i pasti. Un consiglio che mi sento di dare, inoltre, è quello di usare i device tecnologici in luoghi quanto mai condivisi della casa: reagire a un brutto messaggio sul divano è diverso che farlo nel buio della propria cameretta.
Nel rapporto genitori-figli, può essere utile “navigare” insieme?
Certamente. Mai svalutare quello che fanno i nostri figli. L’obiettivo del genitore è quello di creare un bilanciamento e, per farlo, occorre far capire il nostro interessamento alle loro passioni. Anche se si tratta di un influencer che noi non seguiremmo mai in base alle nostre inclinazioni. D’altronde provare a capirne di più, grazie all’esperienza dei nostri ragazzi, può stimolare un rapporto di stima reciproca.
Parliamo di Tik Tok. Serve davvero l’intelligenza artificiale per supplire alla “leggerezza” dei genitori?
Il ruolo degli operatori (Instagram, Tik Tok, ecc) è fondamentale. Se è vero che per «educare un bambino ci vuole un villaggio» altrettanto si può dire per la comunità digitale. Usare strumenti, come l’intelligenza artificiale, è già un buon passo in avanti. Rimane immutata, però, la responsabilità dei genitori: se la prima cosa che fanno, mamma o papà, è quella di “barare” per iscrivere i propri figli sui Social network, non possiamo aspettare “miracoli” da chi attraverso questi canali fa business.
A suo avviso, l’uso forzato (per necessità) della Didattica a distanza ha acuito la “dipendenza” dei ragazzi al digitale?
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