Avvenire di Calabria

L’intervento di De Palo: «L’attuale sistema è troppo penalizzante»

Fiscalità umana, considerare il «fattore famiglia»

Stefano De Martis

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Il sostegno alla famiglia è una questione troppo seria per riempirsi la bocca con parole roboanti che poi alla fine risultano vuote, ma quando si dice che l’adozione del Fattore famiglia da parte della Regione Lombardia rappresenta una svolta culturale non si esagera.
«È un momento storico non solo per la Regione Lombardia, ma per tutto il Paese», ha dichiarato il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo. Sono anni che il Forum ha elaborato il Fattore famiglia e il voto lombardo suona anche come un messaggio per le altre Regioni e per lo stesso governo italiano: «Si può fare!». Ma in che cosa consiste esattamente il Fattore famiglia? Bisogna partire da una considerazione di fondo: l’attuale sistema fiscale non solo non aiuta la famiglia ma per certi versi addirittura la penalizza. Lo scopo del Fattore famiglia è allora quello di riequilibrare il sistema alla luce degli effettivi carichi familiari. L’articolo 53 della Costituzione afferma che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Che la tassazione aumenti con il crescere del reddito (progressività) è un dato acquisito ma è sul modo di quantificare la «capacità contributiva» che interviene il Fattore famiglia per correggere l’iniquità del meccanismo attuale.
Si comincia con l’individuare un livello minimo di reddito non tassabile che coincide con la soglia di povertà relativa calcolata annualmente dall’Istat. Questo livello minimo viene moltiplicato per un fattore proporzionale ai carichi familiari: coniuge e figli a carico, con l’aggiunta di altri elementi che contribuiscono a rendere più gravosa la situazione economica, come disabilità, monogenitorialità, vedovanza. Quindi maggiore è il carico familiare, maggiore è il livello di reddito non tassabile. Oltre la «no tax area» le aliquote di tassazione si calcolano normalmente secondo il principio costituzionale della progressività. Per i cosiddetti incapienti, cioè coloro che hanno un reddito inferiore al limite della non tassabilità, si applica per così dire una tassazione negativa. In pratica viene erogato un assegno calcolato sulla base della differenza tra il reddito di questi soggetti e quello che definisce la «no tax area».
Come si vede si tratta di una proposta molto rigorosa e tecnicamente credibile ma il principio di fondo è semplice: un fisco a misura di famiglia.
E quanto costerebbe allo Stato? La stima a regime è di 14 miliardi. Una somma che può spaventare ma rimodulando sulla base del Fattore famiglia le detrazioni già introdotte e costate circa 10 miliardi di euro il costo scenderebbe a 4 miliardi. Uno dei pregi del Fattore famiglia è anche quello di poter essere applicato non solo alla fiscalità generale. Negli enti locali, per esempio, diventa uno strumento prezioso per integrare l’Isee e rendere a misura di famiglia anche l’accesso ai servizi e alle diverse prestazioni. Tra le Regioni, la Lombardia è finora l’unica a essersi mossa in questo senso, applicando per ora il Fattore famiglia alle spese per la «dote scuola», i progetti d’inserimento lavorativo, i contratti di locazione a canone concordato e il traporto pubblico locale.
Ma sono invece tanti i Comuni che hanno fatto la loro scelta per il Fattore famiglia. Molti di loro hanno anche deciso di collegarsi in rete, stipulando anche accordi con le università.

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