Avvenire di Calabria

Prosegue la lettura "sociale" della nuova enciclica di papa Francesco ad opera di don Antonino Pangallo (QUARTA PARTE)

"Fratelli Tutti", pensare e generare un mondo aperto

Antonino Pangallo

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Il capitolo terzo della Fratelli tutti costituisce una vera e propria fondazione filosofica ed etica della fraternità.
Tra i filosofi viene citato G. Marcel: «Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro». L’essere umano sviluppa il proprio essere nella relazione. Come l’organismo è una rete cellulare, allo stesso modo nessun uomo è un’isola.
San Giovanni Paolo II ha scritto: «C’è in ognuno di noi una specie di legge di ‘estasi’: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere…in ogni caso l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso«». Così la fraternità fa parte del DNA umano.
L’enciclica fonda filosoficamente ed eticamente la relazionalità nella dimensione affettiva. La virtù infusa della carità, citando San Tommaso, rivela come l’altro sia una parte di me, mi è caro. La carità orienta a ricercare gratuitamente il suo bene. Nel linguaggio biblico (cfr. Gal 5), l’agathosyne/benevolenza caratterizza una vita morale matura. Le altre virtù potrebbero essere illusorie se nella persona non crescesse la capacità di scambio esistenziale e di interazione generativa. Per troppo tempo, viene osservato con la Laudato sii: «Siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi» (113).
L’alterità è essenziale alla maturazione dell’essere umano. Senza la fraternità sociale, parole come libertà ed uguaglianza perdono spessore; la prima si riduce alla difesa dei diritti individuali, fino a sfociare nell’individualismo, la seconda costruisce una omogeneità totalizzante e massificante, monocromatica.
La spinta ad uscire da sé verso l’altro, tuttavia, non può trattenersi nei limiti di orizzonti ristretti. Come l’organismo si sviluppa moltiplicando le cellule, allo stesso mondo, per cerchi concentrici, l’essere umano è chiamato ad una fraternità sempre più orientata all’universalità.
Oggi il rischio è considerare la fraternità entro i confini ristretti della piccola cerchia, nel piccolo orizzonte privato, nella logica dei “soci”. C’ è bisogno di allargare l’orizzonte come fece San Benedetto chiedendo ai monaci di aprirsi all’ospitalità. Le società che si chiudono generalmente muoiono per asfissia.
I piccoli gruppi, le coppie autoreferenziali si costituiscono come un noi contrapposto al mondo intero, sono solo forme di idealizzate di egoismo e di autoprotezione (89).
La solidarietà (114-117) è il vaccino efficace, dal momento che esprime un pensare e agire in termini di comunità: «Ci fa bene appellarci alla solidità che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune. La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri» (115). Il servizio è la strada per accogliere la fragilità e mostrare la priorità della vita di tutti, del corpo sociale rispetto agli interessi di pochi.
Sull’orizzonte del destino comune, si evidenza come prioritario criterio etico, la destinazione universale dei beni. Solo in tale cornice morale è possibile collocare il diritto alla proprietà privata. Quest’ultimo diverrebbe un abuso dinanzi a singoli o ad interi popoli a cui viene sottratto il diritto ad una vita dignitosa.
La capacità di impresa, tesa ad incrementare le risorse per la vita, appare in nuova luce se al centro viene posta la dignità della persona umana. La ricerca del benessere e la produzione non sono moralmente leciti se acuiscono l’esclusione della fragilità (disabilità, anziani, disoccupazione) e calpestano interi popoli. Qui si pone la questione dei diritti dei popoli e di una politica capace di far valere il destino comune del pianeta. I diritti non hanno frontiere. Ogni essere umano, ogni popolo ha il diritto a svilupparsi.
A conclusione il Papa scrive: «Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne. Perché la pace reale e duratura è possibile solo «a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana» (127)».

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